Il Santo Padre parla della precarietà, pretesto per l’idolatria.
Se la precarietà della vita genera insicurezza e angoscia, ci si adopera per raggiungere stabilità e appagamento.
In questo modo, il potere, il guadagno sono facili pretesti per alludere all’idolatria.
Così, Papa Francesco, nell’Aula Paolo VI, parla della precarietà, pretesto per l’idolatria: “Pensate bene questo, liberare il popolo dall’Egitto a Dio non è costato tanto lavoro; lo ha fatto con segni di potenza, di amore. Ma il grande lavoro di Dio è stato togliere l’Egitto dal cuore del popolo, cioè togliere l’idolatria dal cuore del popolo. E ancora Dio continua a lavorare per toglierla dai nostri cuori. Questo è il grande lavoro di Dio: togliere “quell’Egitto” che noi portiamo dentro, che è il fascino dell’idolatria”.
Il passo biblico del Libro dell’Esodo, letto quel giorno, parlava del vitello creato dagli israeliti, stanchi di attendere il Signore, che aveva promesso di salvarli: “Il vitello aveva un senso duplice nel vicino oriente antico: da una parte rappresentava fecondità e abbondanza e dall’altra energia e forza. Ma anzitutto è d’oro, perciò è simbolo di ricchezza, successo, potere e denaro. Questi sono i grandi idoli: successo, potere e denaro. Sono le tentazioni di sempre! Ecco che cos’è il vitello d’oro: il simbolo di tutti i desideri che danno l’illusione della libertà e invece schiavizzano, perché l’idolo sempre schiavizza”.
La precarietà, pretesto per l’idolatria
Ed per questo motivo che l’indigenza, come lo scontento per le condizioni di vita, possono indurci a rincorrere le agiatezze, anziché il Signore, che resta in attesa della nostra richiesta di sostegno, proprio nella prova.
Gli israeliti furono stati lasciati soli solo per pochi giorni, mentre Mosè che era salito sul Sinai a parlare col Signore, eppure, in un batter d’occhio, trovarono, nel vitello d’oro, il pretesto per rinnegare ciò che Dio stava già realizzando per tutti loro: la liberazione dalla schiavitù umana.
Come dice Papa Francesco, allora, l’idolatria può intendersi come “l’’incapacità di confidare soprattutto in Dio, di riporre in lui le nostre sicurezze, di lasciare che sia lui a dare vera profondità ai desideri del nostro cuore”.
Antonella Sanicanti