Dio accoglie le preghiere che gli rivolgiamo in suffragio per le anime dei nostri cari anche se non siamo praticanti?
Sono tante le domande che attanagliano i fedeli. Fra queste, quella della validità della preghiera, anche se non si è praticanti. La risposta di un sacerdote ci aiuta a comprendere la situazione.
Pregare per i nostri cari defunti li aiuta a raggiungere, se non lo sono già, quanto prima la gloria del Paradiso. “La preghiera è l’ossigeno della nostra vita” – ci ha più volte detto Papa Francesco. “Chi canta bene, prega due volte” – diceva Sant’Agostino.
Ma quando a pregare è un cattolico non praticante, questa ha sempre valore? Una fedele ha posto il suo questo ad un sacerdote: “Sono credente, ma non praticante. Prego per i defunti. Mi è stato detto che perché possano averne beneficio devo essere in grazia di Dio. Io, oltre a non essere praticante, vivo anche in una situazione irregolare. Le chiedo se tutte le mie preghiere siano vane”.
La risposta di Padre Angelo non si è fatta attendere: “A proposito gli effetti della preghiera San Tommaso dice che è necessario distinguere due aspetti: quello di meritare per la vita eterna e quello di impetrare, vale a diredi domandare una grazia. Perché la preghiera sia meritoria per noi per la nostra vita eterna è necessario essere uniti a Cristo mediante la grazia. Per questo San Tommaso dice: “La preghiera fatta senza la grazia santificante non è meritoria, come non lo è neppure alcun atto virtuoso”.
La ragione di questa affermazione è la seguente: poiché la vita eterna è un bene di ordine soprannaturale, le nostre azioni per meritarla devono avere il carattere soprannaturale che ne deriva dalla grazia, cioè dall’essere in comunione viva con Cristo” – spiega.
“Un esempio illustra questa verità: se voglio che il legno scaldi, è necessario che sia immerso nel fuoco. Ma se rimane spento non può produrre l’effetto del calore. In questo senso Gesù ha detto: “Chi non raccoglie con me disperde”. E anche: “Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.
“Impetrare invece significa domandare grazie o favori da parte di Dio. E questo non dipende dalla santità di chi prega, ma dalla misericordia di Dio. Allora sotto questo aspetto Dio ascolta anche le preghiere di chi non è in grazia.
Sant’Agostino dice: “Dio non ci esorterebbe a pregare se non volesse concedere”. San Giovanni Crisostomo, commentando il Vangelo, dice: “Non nega mai i suoi benefici a chi prega Colui che con la sua misericordia spinge a pregare senza interruzione”. San Tommaso: “Sebbene tale preghiera non sia capace di meritare, tuttavia può essere capace di impetrare: poiché il merito si fonda sulla giustizia mentre l’impetrazione si fonda sulla benevolenza di Dio” – approfondisce il sacerdote.
Quanto giova, nonostante tutto, la preghiera alle anime defunte? “Si potrebbe obiettare: “Ma si può giovare soprannaturalmente al nostro prossimo solo se è in comunione con Dio. E perciò chi non è in comunione con Dio non può giovare soprannaturalmente alle anime del Purgatorio”. San Tommaso però replica: come chi non ha la virtù della giustizia può compiere delle azioni giuste, così anche chi non è in piena comunione con Dio può domandare cose conformi alla comunione con Dio.
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“E tale è la preghiera di chi non è in grazia, ma prega per le anime del Purgatorio. Pur non essendo in grazia, compie un’azione santa e gradita a Dio. Continua pertanto a compiere molti suffragi per le anime del Purgatorio perché sono utili a queste anime e sono sempre benedetti e ricompensati da Dio” – conclude Padre Angelo.
Fonte: amicidomenicani
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ROSALIA GIGLIANO
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