In tanti lo mettono in discussione ed è sempre più faticoso conciliare questo principio con lo stile di vita moderno. I riscontri offerti dagli ultimi tre papi sull’argomento portano però a conclusioni sorprendenti.
La questione del celibato sacerdotale attraversa la storia della Chiesa fin dalle sue origini. Pur non trattandosi di un dogma nel senso stretto del termine, con il tempo è divenuto un fondamento della Chiesa stessa, mai messo seriamente in discussione, nemmeno quando personalità più o meno autorevoli iniziano a dubitarne.
Celibato si o no?
Siamo di fronte a una tematica dirimente, che coinvolge sia la Chiesa “mistica” e carismatica, sia quella istituzionale. Il dibattito sul celibato dei preti va a intrecciarsi inevitabilmente con la crisi delle vocazioni, iniziata già prima del Concilio Vaticano II, che pure ha cercato di darvi una risposta.
Nella prima metà del secolo scorso, la mistica Maria Valtorta (1897-1961) affermava che il tempo dell’impostura avrebbe avuto come preludio la crisi del clero.
Quando poi, il 12 aprile 1947, la Madonna appare alle Tre Fontane a Bruno Cornacchiola (1913-2001), gli mostra una talare abbandonata con un drappo nero, accompagnata da una croce spezzata: il primo simbolo fu interpretato come il tradimento della vocazione sacerdotale, che, effettivamente, si verificò in proporzioni mai viste, proprio negli anni successivi al Concilio, quando molti preti di tutto il mondo tornarono alla vita laicale; il secondo simbolo fu visto invece come la profezia di un tempo di persecuzione per tutti i cristiani, indipendentemente dallo status laicale, religioso o sacerdotale.
Un’argomentazione ricorrente è quella secondo cui sempre meno persone entrano in seminario, essendo la vita moderna incompatibile con la castità e con una condotta austera. Affermazioni, queste ultime, particolarmente superficiali e facilmente confutabili, nella misura in cui la diminuzione del numero dei sacerdoti è ancora più marcata nelle chiese protestanti, dove, notoriamente, non è prescritto alcun celibato per i pastori.
Segni profetici
Un grande convertito dall’anglicanesimo, San John Henry Newman (1801-1890) ebbe uno sguardo profetico sulla crisi del clero e delle vocazioni: “Molti ecclesiastici si sono lasciati andare ad una vita di mollezza. Non intendono più il valore della loro chiamata alla vita di povertà, umiltà e castità”.
Il santo cardinale britannico esortava quindi i sacerdoti del suo tempo con queste parole: “Spogliatevi ora di questi ornamenti del mondo che adescano ed intrappolano le vostre anime, fratelli miei; e distruggono la vostra vocazione. Gli anni che vi rimangono sono pochi per recuperare il gregge che avete disperso”.
È quindi evidente che la vera radice della crisi delle vocazioni è nel disconoscimento dell’altissimo valore e della dignità sacramentale del ruolo sacerdotale. Al giorno d’oggi, molto spesso nemmeno chi viene ordinato è consapevole della propria natura di alter Christus e, di conseguenza, fa molta fatica a sopportare i sacrifici derivanti dal proprio status.
L’“occasione mancata” dell’Amazzonia
Nell’episcopato c’è anche chi ha sollevato la possibilità di eccezioni. In particolare, durante il Sinodo per l’Amazzonia (6-27 ottobre 2019), fu ipotizzata l’ordinazione degli uomini già sposati per sopperire alla scarsità di sacerdoti e missionari in un’area geografica densa di problematiche e ancora sostanzialmente da evangelizzare.
Questa opzione fu però sostanzialmente respinta al mittente da papa Francesco che, nell’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia (2020), non dà alcun riscontro, neanche implicito, alla richiesta di una deroga al celibato sacerdotale, sottoscritto da due terzi dei padri sinodali.
Esattamente un anno fa, nel suo discorso ai partecipanti al simposio Per una teologia fondamentale del sacerdozio (Aula Paolo VI, 17 febbraio 2022), il Santo Padre non ha soltanto ribadito il valore del celibato sacerdotale, ma anche offerto suggerimenti concreti per viverlo al meglio.
“Mi spingo a dire che lì dove funziona la fraternità sacerdotale, la vicinanza fra i preti, ci sono legami di vera amicizia, lì è anche possibile vivere con più serenità anche la scelta celibataria – ha detto Bergoglio in quell’occasione –. Il celibato è un dono che la Chiesa latina custodisce, ma è un dono che per essere vissuto come santificazione necessita di relazioni sane, di rapporti di vera stima e di vero bene che trovano la loro radice in Cristo. Senza amici e senza preghiera il celibato può diventare un peso insopportabile e una contro-testimonianza alla bellezza stessa del sacerdozio”.
Un “anticipo di resurrezione”
Da parte sua, papa Benedetto XVI, in un colloquio con i presbiteri di tutto il mondo, tenuto in piazza San Pietro il 10 giugno 2010 a conclusione dell’anno sacerdotale, descrisse il celibato come “un grande segno della fede, della presenza di Dio nel mondo”.
Vivere con gioia il celibato sacerdotale, spiegò Ratzinger, significa dire il proprio “sì definitivo” al Signore, “lasciarsi prendere in mano da Dio”, quindi è un “atto di fedeltà e di fiducia”.
Il pontefice tedesco individuò nel celibato una sorta di “anticipazione del futuro” che ci aspetta con la vita eterna: quasi una tensione “verso il mondo della risurrezione, verso la novità di Cristo, verso la nuova e vera vita”.
Tradizione nata con il progresso
Anche San Giovanni Paolo II si è soffermato in più occasioni sul valore del celibato. Durante l’udienza generale del 17 luglio 1993, Wojtyla spiegò come questa consuetudine si fosse consolidata nei primi anni della Chiesa, nella misura in cui l’intero popolo cristiano aveva colto quanto questa opzione fosse auspicabile in tutti i sensi.
“Gesù non ha promulgato una legge, ma proposto un ideale del celibato, per il nuovo sacerdozio che istituiva”, disse allora il pontefice polacco. Sebbene alle origini, un gran numero di sacerdoti fosse “composto da uomini sposati, scelti e ordinati sulla scia della tradizione giudaica”, in base “all’esperienza e alla riflessione si è progressivamente affermata la disciplina del celibato fino a generalizzarsi nella Chiesa occidentale in forza della legislazione canonica”.
Pertanto, il celibato sacerdotale “non era solo la conseguenza di un fatto giuridico e disciplinare: era la maturazione di una coscienza ecclesiale sulla opportunità del celibato sacerdotale per ragioni non solo storiche e pratiche, ma anche derivanti dalla congruenza sempre meglio scoperta tra il celibato e le esigenze del sacerdozio”.
Visto in questa prospettiva, dunque, il celibato, ben lungi dall’essere un inutile orpello del passato, è uno strumento sempre attuale, che aiuta il sacerdote a immedesimarsi in Cristo e a vivere il proprio ruolo con maggiore convinzione, gioia e profondità.