È lapidaria la dichiarazione di Papa Francesco rilasciata in un’intervista pubblica. Cosa voleva dire? Perché si potrebbe fare? Qual è il vero problema che non risolverebbe?
Lo scorso 1° novembre Papa Francesco ha rilasciato un’intervista al direttore del TG1 che è stata trasmessa pubblicamente in TV. Tra le altre cose gli è stato chiesto se è possibile che i Sacerdoti cattolici si sposino. Egli non nega la possibilità ma neanche nasconde lo scetticismo.
Nella Chiesa cattolica non è sempre stato così. Cosa è cambiato nel corso del tempo?
Una prassi dettata dalla necessità
Il celibato sacerdotale è stato chiesto a partire dal IV secolo circa. Nel corso del tempo è diventata un’esigenza legata alla complessità del ministero presbiterale. Al di là delle motivazioni teologiche e spirituali, ve ne sono anche alcune di carattere “pratico”. Un sacerdote è chiamato ad amare e donarsi totalmente a tutto il gregge che gli è affidato.
Senza riserve, senza se e senza ma, come Cristo Sacerdote si è fatto tutto a tutti. Sempre sull’esempio del Signore è chiamato a soffrire con le persone e a offrire per loro e con loro. Un sacerdote non ha pausa, è 24 ore al giorno 7 giorni su 7, di tutti e per tutti. È giusto che abbia dei momenti personali, di preghiera, di studio, di svago, ma in linea di massima questi sono momenti per ricaricarsi e poi tornare a farsi pane spezzato per gli altri.
Tutto questo si può coniugare con la vita familiare? Teoricamente sì ma praticamente? I ritmi di una famiglia media di oggi quanto si coniugherebbero con una tale donazione richiesta da un ministero così profondo, serio e delicato?
Un’esperienza illuminante: i Diaconi permanenti
Nella chiesa Cattolica c’è un’esperienza che è illuminante, quella dei Diaconi permanenti, cioè ministri istituiti che aiutano i sacerdoti nelle opere di carità e nella predicazione e possono presiedere ad alcune celebrazioni liturgiche, come funerali, matrimoni, battesimi, impartire benedizioni alle case, alle persone, ai negozi, alle cose, insomma possono esercitare un ministero ricco, bello e fecondo. Non possono amministrare quei sacramenti che richiedono il carattere presbiterale: l’Eucarestia, la Confessione e l’Olio santo, la Cresima.
Tali diaconi, dunque possono fare tanto ma è meno del sacerdote. Ovviamente devono avere un lavoro proprio con cui provvedere a sé stessi e alla famiglia. Per tanti di loro, pur se animati da sopraffina carità tenere insieme tutto non è semplice. Lavoro, famiglia e parrocchia, tre ambiti che singolarmente sono impegnativi, messi insieme sono da togliere il respiro. Immaginiamo di dover aggiungere anche tutti gli altri compiti che competono al sacerdote! Inoltre quello che attualmente guadagna un sacerdote medio è sufficiente al suo sostegno ma di certo non potrebbe sostenere una famiglia.
Quindi? Se il sacerdote dovesse avere un lavoro non avrebbe tempo per il “gregge”, se dovesse essere a tempo pieno per gli altri chi sosterrebbe lui e la sua famiglia?
Il vero problema
La questione è posta con sempre maggiori pressioni al Papa. Si punta il dito contro la Chiesa che “impone” il celibato ai giovani che si sentono chiamati al Sacerdozio. Alcuni dicono che è meglio la prassi dei fratelli Ortodossi, dove il candidato al Sacerdozio, prima dell’ordinazione sceglie se sposarsi restare celibe.
Il punto è che la Chiesa non impone il celibato. È una vocazione nella vocazione e di fatto ritiene che, se sei chiamato al sacerdozio sei chiamato al celibato. Il vero problema è che si cura poco la dimensione della bellezza della scelta celibataria (o verginale per le donne).
Si pensa più alla genitalità mortificata che alla sessualità vissuta plasticamente in forme libere e liberanti. Piuttosto il vero problema potrebbe essere la scelta? Tutti pensano che far sposare i preti risolverebbe il drastico calo delle vocazioni. Ma c’è un altro dato che, se incrociato a questo fa pensare. Calano anche i matrimoni. Dunque il problema è il celibato o è la scelta “per sempre” che spaventa? Inoltre c’è da chiedersi: entrambi sono la malattia o il sintomo? Potrebbero essere sintomi di una malattia grave ossia che il mondo ha imparato a vivere come se Dio non esistesse?
Con questo non si vuol dire che non sia corretto dialogare con la cultura e col tempo per rendere il Vangelo e i suoi valori sempre vivi e attraenti. Ma a volte si ha l’impressione che ci si appigli a un dettaglio, pure importante, ma si tralascia l’insieme che è molto più complesso.