Il progresso è davvero una conquista?

Critica del mito del Progresso

sfatato il mito del progresso
Il progresso

Ogni epoca storica presenta pro e contro, luci ed ombre, positività e negatività, essendo per forza di cose un misto fra le conseguenze dei peccati umani e i frutti dell’umana saggezza. In altre parole non è mai esistito un vero e proprio inferno in terra (neppure durante le guerre, le carestie e gli stermini), né esisterà mai un (nuovo) immacolato paradiso terrestre. Potremmo forse meglio paragonare la vita umana ad una sorta di purgatorio, in cui il dolce e l’amaro si alternano senza sosta e in modo certamente diseguale per tutti, poiché siamo tutti diversi e nessuno è la fotocopia di un altro: il mondo è bello proprio perché è vario.

I dolori dell’esistenza indubbiamente fanno male (che siano fisici, morali o psicologici), ma servono anche a migliorarci, a farci desiderare la vera pace e ad espiare le colpe. Tutto giova e tutto concorre al bene per coloro che amano Dio. Ciò che deve aiutarci è la fede, il desiderio di vivere la vita come una missione e la speranza.

Speranza che è da riporre anzitutto nell’Autore dell’universo, il quale ci soccorre, in modo non sempre percettibile, in questa lotta e in questa avventura bella, intensa e mai banale. Come insegna l’agiografo, vita militia est super terram.

Tutto il Novecento è stato percorso da un crescente moto neo-luddista, anti-industrializzazione, anti-progresso ed anti-tecnologia. Essendo noi del tutto alieni dalla credenza nel nefastissimo mito del Progresso (mito indimostrabile secondo cui la storia umana procederebbe per forza di cose costantemente verso il meglio), non possiamo non interessarci a tutti quei movimenti che in qualche modo, e magari non senza eccessi e difetti, ne contestano la validità scientifica e filosofica.

non sempre il progresso è conquista
progresso tecnologico

Faccio notare che se la storia fosse un continuo e automatico miglioramento san Benedetto da Norcia (480-547), san Francesco d’Assisi (1181-1226) e santa Caterina da Siena (1347-1380) sarebbero tre arcaici cafoni del buio Medioevo, superati e insulsi, mentre Lenin, Stalin e Mao rappresenterebbero le avanguardie del XX secolo! Oppure, per altro verso, Picasso sarebbe la luce, mentre Giotto le tenebre; i grattacieli il progresso, le cattedrali il regresso, la bomba atomica una conquista, la spada un relitto, e così via.

Sappiamo bene che nel 2018 gli uomini dispongono certamente di supporti industriali, tecnologici, medici e telematici incalcolabilmente superiori rispetto a quelli in uso nel 1918. Ma c’è una domanda da porre ai giovani di oggi, affascinati e quasi incantati e lobotomizzati dalla tecnologia-tecnocrazia: “Ma gli uomini, presi come tali, sono oggi migliori dei loro antenati di un secolo fa?”. Si tratta di una domanda che popperianamente definiremmo non scientifica, poiché qualunque risposta dessimo (positiva o negativa), resterebbe una risposta non ‘falsificabile’ ovvero assolutamente non probante.

Tanti autori del passato (come Leopardi, Manzoni, Verga o Pirandello) ma anche vivi e vegeti ai giorni nostri (come Emanuele Severino, Marcello Veneziani, Alain de Benoist e Diego Fusaro) hanno mostrato scetticismo di fronte al mito del Progresso, e all’idea che l’umanità tenda sempre e comunque ad elevarsi e a migliorare le proprie condizioni di vita, senza soluzione di continuità.

In tal senso, è significativo citare il Magistero di Giovanni Paolo II il quale più volte ha espresso questi concetti, assiomatici dell’anti-progressismo religioso: “la storia non è semplicemente un progresso necessario verso il meglio, bensì un evento di libertà, ed anzi un combattimento fra libertà che si oppongono fra loro, cioè, secondo la nota espressione di sant’Agostino, un conflitto, fra due amori: l’amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé, e l’amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio” (Familiaris consortio, 6).

Nell’enciclica Evangelium vitae, parlando della diffusione contemporanea di aborto ed eutanasia, Giovanni Paolo II osserva con finezza: “con le nuove prospettive aperte dal progresso scientifico e tecnologico nascono nuove forme di attentati alla dignità dell’essere umano, mentre si delinea e consolida una nuova situazione culturale, che dà ai delitti contro la vita un aspetto inedito e — se possibile — ancora più iniquo suscitando ulteriori gravi preoccupazioni: larghi strati dell’opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita in nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto, ne pretendono non solo l’impunità, ma persino l’autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con l’intervento gratuito delle strutture sanitarie” (n. 4).

Cioè, nell’anno 1995 in cui il Papa pubblicò l’enciclica, esistevano oltre ad innegabili avanzamenti e miglioramenti sociali, altrettanti segni di declino, di decadenza e di preoccupazione. E così sarà inevitabilmente sino alla fine del mondo.

Quindi può darsi che un’epoca sia contemporaneamente più avanzata di un’altra secondo criteri scientifici-tecnici-materiali e meno avanzata secondo criteri etici, antropologici, politici o artistici. Anzi, proprio nell’ultimo suo libro, Memoria e identità (Rizzoli, 2005), pubblicato lo stesso anno della sua dipartita, Karol Woytjla affermò chiaramente che, a fronte del crollo di nazismo e comunismo, ideologie ben note ai polacchi, resta “doveroso porsi la domanda se qui [in Europa] non operi ancora una nuova ideologia del male, forse più subdola e celata, che tenta di sfruttare, contro l’uomo e la famiglia, perfino i diritti dell’uomo” (p. 23, corsivo mio). Ora se nazismo e comunismo vengono viste, come faceva Giovanni Paolo II, come ideologie anti-cristiane e anti-umane, ed esiste una nuova “ideologia dei diritti”, forse più subdola e celata, ecco che il progresso culturale della fine del XX secolo, e dell’inizio del nuovo millennio, viene ampiamente rimesso in causa.

Il giudizio che traspare da queste righe è quello, radicalmente opposto al progressismo, laico o cattolico che sia, di disapprovazione della post-modernità, ultra-tecnologica certo, ma anche iper-nichilista, edonista, scettica su tutto tranne che sul labile fondamento del proprio scetticismo. Il pensiero debole e il relativismo etico, contraddittoriamente eretti a dogma assoluto delle democrazie laiciste, sono i punti fermi dell’ideologia del male di cui sopra.

In fondo un progresso che escluda Dio e la religione dalla società e dalla storia diventa un inevitabile regresso. Sotto questo aspetto, stiamo andando verso società ultra-progredite a livello materiale, e iper-regredite a livello spirituale. Urge impegnarsi per correggere la rotta. Prima che sia troppo tardi.

Antonio Fiori

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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