Promessa della Lazio e del Real Madrid testimonia la sua fede: “Mi sono ritrovato a Medjugorje”

Pallone e fede, un binomio impossibile? Per nulla: una promessa di due storici team calcistici racconta come si è ritrovato a Medjugorje, dove appare la Madonna.

Ex calciatore di Lazio e Real Madonna di Medjogorje
(Foto Ansa e Transfermarkt) – lalucedimaria.it

Sulla Gazzetta dello Sport è apparsa di recente un’intervista a Antonio Rozzi, classe 1994, ex promessa della Lazio e del Real Madrid che ha raccontato la sua storia di calcio e di fede al quotidiano sportivo più famoso d’Italia.

Il mondo dello sport – il pallone non fa eccezione – è duro almeno quanto è imprevedibile. Il talento è condizione necessaria ma non sufficiente per arrivare ai massimi livelli: bastano un infortunio o un allenatore che proprio non ti vede per farti uscire dai radar e mandare all’aria l’occasione della vita.

Anche un talentuoso attaccante come Antonio ha visto svanire i sogni di gloria proprio nel momento in cui la sua carriera sembrava sul punto di spiccare il volo. La parabola discendente inizia a Madrid.

Antonio è giovanissimo: ha soltanto 19 anni e i mitici Blancos lo chiamano per giocare nella loro squadra B, la stessa dove l’anno prima era esploso un certo Alvaro Morata.

Le cose però non vanno per il verso giusto. Un infortunio e il cambio di allenatore in panchina si traducono in poche presenze in campo, a tutto svantaggio del giovane attaccante proveniente dalla Lazio.

La luce della fede che spazza via il “mare dei vuoti”

Dio però ama sorprendere. Sì, perché proprio in quel momento buio la luce della fede si fa strada nel cuore di quel ragazzo che aveva già realizzato un sogno con l’esordio in serie A con la Lazio e l’entrata nel giro della Nazionale Under 21 (con un gol in tre presenze nel 2013 al fianco di giocatori come il “gallo” Belotti). Lo abbiamo raggiunto al telefono per capire meglio cosa è successo a Madrid.

Antonio Rozzi con la Lazio
Antonio Rozzi a 19 anni con la maglia della Lazio (Foto Facebook @S.S. Lazio) – lalucedimaria.it

«Tutto è iniziato lì», ci racconta Antonio che dice aver superato grazie alla fede un momento di estrema sofferenza e isolamento, fatto di grandi difficoltà sul piano calcistico in quella che era la sua prima esperienza fuori casa (e per giunta in un Paese straniero).

Da lì ai tentativi di colmare il vuoto interiore (il «mare dei vuoti», lo definisce con una bella immagine che richiama Sant’Agostino) con divertimenti e piaceri superficiali, un po’ come capita a tanti ragazzi di quell’età, il passo è stato breve.

«Percepii che dovevo dare una svolta a questa situazione», continua Antonio che spiega di aver sempre creduto in Gesù malgrado allora avesse abbandonato da tempo la pratica religiosa (ma non la preghiera, per quanto piuttosto saltuaria).

Un giovane calciatore sorpreso dalla gioia

Fatto sta che a un certo punto qualcosa cambia davvero. «Sentivo dentro di me che dovevo andare in chiesa, sentivo che casa era tornare in chiesa». Antonio segue quel richiamo.

Deve fare i conti anche con una piccola umiliazione – una prova, col senno di poi – che lo allontana per qualche giorno dal suo proposito: la polizia infatti, vedendolo forse così giovane, lo ferma credendo che voglia derubare i gli anziani fedeli proprio mentre cerca di entrare nell’edificio sacro.

Antonio Rozzi
Antonio Rozzi (Screenshot YouTube @LGI SPORT Web Channel) – lalucedimaria.it

Una settimana dopo – siamo tra gennaio e febbraio 2014 – il malessere continua a picchiare. È una domenica sera: Antonio torna a sedersi tra i banchi di una chiesa. «Subito ho sentito tanta pace», dice. In quel momento capisce di dover tornare lì. Quel piccolo seme di fede che non si era mai veramente estinto comincia a mettere radici sempre più profonde nel suo cuore. «È stata una grazia», riconosce Antonio.

Inizia così un vero e proprio cammino di fede: la confessione, la conoscenza di un sacerdote, la messa domenicale. Anzi, la pace che sperimenta in maniera crescente partecipando alla liturgia lo porta a andare a messa anche più volte in settimana. «Poi ho cominciato ad andarci ogni giorno. Vedevo questa gioia che mi entrava. Allo stesso tempo il periodo era negativo. Io però non lo guardavo più così».

«E poi subito i frutti. La cosa bella è stata quella: più ti avvicinavi e più il malessere si trasformava in gioia». In molti, anche diversi familiari, sono stupiti dalla trasformazione di Antonio: la rabbia per la situazione negativa comincia a svanire lasciando sempre più spazio alla gioia. Ma è così: la ruota della vita può girare storto e virare verso il basso. Se però al centro della ruota c’è Cristo, tutto cambia.

Il richiamo di Medjugorje

Non solo: «Sentivo gioia a fare del bene». La regola d’oro di Antonio da allora è questa: atti di carità e eucarestia quotidiana. Appena rientra in Italia si ricorda poi della bella esperienza fatta a Medjugorje molti anni prima insieme ai genitori, quando aveva dieci-undici anni. «La prima cosa che volevo fare era questa: andare a Medjugorje».

Quando gli impegni sportivi glielo consentono, Rozzi va in pellegrinaggio a Medjugorje finché nel 2021, nel momento in cui il Covid ancora rende difficile spostarsi, coglie l’occasione di un pellegrinaggio monfortano in partenza da Bari per ritornare in quel luogo scelto dalla Madonna per parlare ai suoi figli.

Antonio Rozzi sul Podbrdo
Antonio sulla collina delle Apparizioni – lalucedimaria.it

Stavolta però decide di rimanere lì, nel paese “in mezzo ai monti” (questo significa letteralmente il nome Medjugorje). «È stato un ritrovarmi: un processo di guarigione interiore». Un processo di bonifica spirituale che passa attraverso la preghiera alla scuola di Maria ma anche per le relazioni con le persone. Per due mesi e mezzo Antonio fa un’esperienza comunitaria nell’Oasi della Pace, la comunità mariana di preghiera fondata dal passionista veronese Gianni Sgreva.

Oltre alla preghiera si dà da fare con il volontariato anche al di fuori di Medjugorje: è a Mostar e dintorni a portare da mangiare nelle baraccopoli. Poi accade qualcosa che lo convince a riprendere in mano la sua carriera da calciatore.

«Alla messa della mattina mi ritrova immerso in mezzo a dei ragazzi che giocavano nella Serie A bosniaca. La cosa che mi ha sorpreso è stata questa: che loro andavano a Messa la mattina, tutti insieme, e poi si andavano ad allenare». Spesso infatti le squadre professionistiche bosniache organizzano ritiri a Medjugorje.

Un altro momento forte per Antonio è l’evento organizzato in parrocchia dove ha modo di assistere agli interventi di agenti sportivi e giocatori impegnati a testimoniare ai giovani come è possibile vivere la fede nel mondo del calcio.

Un desiderio nel cuore: ritornare a giocare

«Tutto questo mi ha molto colpito e ha riacceso in me il desiderio di ritornare a giocare», dice Antonio che ricorda anche di aver assistito a veri e propri miracoli di vite rinate dalle ceneri della tossicodipendenza (mi racconta delle partitelle con i ragazzi della comunità ‘Gesù confido in te’). Un primo provino in una società calcistica vicino a Medjugorje non va in porto a causa di un problema fisico.

Lui non demorde finché, dopo due anni, una serie di circostanze non lo riportano in Italia, ancora a Roma, per una nuova avventura nel campionato di Eccellenza nelle file della squadra della Luiss allenata dall’ex Foggia e Lazio Roberto Rambaudi.

Primo piano di Antonio Rozzi
Antonio Rozzi (Screenshot YouTube @LGI SPORT Web Channel) – lalucedimaria.it

La cosa che colpisce di Antonio è questo cammino di fede che si radica sempre più in profondità malgrado le difficoltà di una carriera dove per un verso o per l’altro c’è sempre qualche ostacolo a mettersi di traverso. «La mia vita di fede è questa: cerco di andare tutti i giorni alla messa quotidiana, il rosario, qualche momento di adorazione e come punto di riferimento ho un sacerdote che mi consiglia e mi aiuta in questo cammino».

L’ultimo pensiero è per i giovani. Antonio sottolinea l’importanza di fermarsi a riflettere sulla direzione impressa alla propria vita e sulle cose veramente importanti (perché «la carriera non è la fine del mondo»). E  soprattutto invita a non accontentarsi mai di quello che chiama «il finto star bene»: la facile euforia che facilmente si trasforma in «qualche vizietto» (tipo l’alcol) per cercare di non pensare a un problema che comunque prima o poi viene a galla.

«Per paura uno tende a stare in quello stato d’animo di malessere e continua a portarselo dietro. Invece a volte è importante fermarsi e dire: “Ok, dove sto andando? Prendersi quel tempo per andare controcorrente rispetto a dove ti porta il mondo è importante, così come avere la forza di farlo. Avrai tantissimo beneficio».

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