L’insegnamento fondamentale di uno dei libri più noti della Bibbia, il Qohelet, ci apre gli occhi sul senso della vita e sull’origine della felicità.
Lo stesso tema è oggi posto al centro della trentaduesima Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cristiani ed ebrei. L’iniziativa prese vita nel 1898 per volere della Conferenza episcopale italiana, e ricorre ogni anno il 17 gennaio, il giorno prima dell’inizio della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
Il libro del Qohelet e perché è importante conoscerlo
Il Qohelet è infatti uno dei cinque “Libri” della Bibbia, in ebraico Meghil-lot, ovvero “i rotoli”. Gli altri sono Cantico dei Cantici, Rut, Lamentazioni, Qohelet ed Ester. Questi è ancora chiamato da molti Ecclesiaste, termine che deriva dalle antiche versioni greca e latina e più probabilmente dalla descrizione di un uomo che parla nell’assemblea, “qahal”.
Gli insegnamenti contenuti nel testo sono tre, ha spiegato su Avvenire don Luca Mazzinghi, ordinario di esegesi dell’Antico Testamento presso la Pontificia Università Gregoriana, in occasione della trentaduesima Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei.
I diversi aspetti di questo importante testo biblico
“La prima è un messaggio apparentemente negativo: tutto è hebel, termine ebraico che fu tradotto da Girolamo nella Vulgata con vanitas, da cui la maggioranza delle traduzioni moderne con “vanità”, ma che letteralmente vuol dire soffio, vapore. Tutto è un soffio, ovvero tutto passa, tutto è transitorio, la realtà ci sfugge di mano. E, aggiungerei, tutto appare assurdo, la realtà non è come dovrebbe essere, “non c’è niente di nuovo sotto il sole” (Qo 1,9). Per un motivo soprattutto: la morte, che rende tutto vuoto – e lo capiamo tanto più in questo tempo di pandemia. Inoltre Dio c’è, ma è come se non desse risposte, sembra muto”.
Si tratta cioè del polo più “freddo” del testo, quello più rivolto con lo sguardo verso il negativo, ma che purtroppo viene spesso evidenziato dalla maggior parte dei commentatori. L’obiettivo di questa parte del testo, tuttavia, è di avvisarci della complessità delle realtà, e di contro di ogni imperfezione di qualsiasi teologia umana. Tuttavia, c’è anche un altro polo del tutto positivo che va fortemente sottolineato.
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La difficoltà di tenere insieme gli opposti e il punto di incontro
“Sono i passaggi sulla gioia; non a caso nell’ebraismo il Qohelet viene letto a Sukkot, la festa delle Capanne, festa della gioia per eccellenza, anche della gioia della Legge. Nel Qohelet la gioia si presenta tuttavia in modo semplice, quotidiano: “Ecco ciò che io ritengo buono, che è appropriato mangiare, bere e godersi il frutto del proprio lavoro faticoso per il quale ci si affatica sotto il sole, nei giorni contati della propria vita, che Dio concede all’essere umano: questa infatti è la parte che a lui spetta” (Qo 5,17)”.
La difficoltà allora è quella di tenere insieme queste due caratteristiche contrastanti dello stesso testo. Come fare, ci si chiede, a sostenere allo stesso tempo che tutto è un soffio, che verrà portato via dalla morte, e allo stesso tempo che la gioia più semplice e più profonda è sempre possibile? Certamente, bisogna tornare al tema centrale del libro del Qohelet, vale a dire il Signore che mai ci abbandona e che al contrario ci dona, attraverso l’opera della sua infinita misericordia, la possibilità di affrontare l’esistenza umana con una gioia nel cuore che sale dal profondo dell’anima.
Al centro del Qohelet c’è l’opera di Dio che non abbandona i suoi figli
“Esiste nel libro del Qohelet un terzo tema che è quello davvero centrale: Dio. Dio viene citato 38 volte, tante quante hebel, più due volte nell’epilogo, scritto in realtà da un discepolo di Qohelet. E in queste 38 volte i verbi associati a Dio sono sostanzialmente tre: “dare”, “fare” e “temere””, scrive quindi don Luca. “Il Dio del Qohelet dà all’essere umano il compito di esplorare, di cercare il senso della realtà. Dà poi all’umanità la vita e soprattutto dà la gioia”.
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“È poi un Dio che fa tutto ciò che vuole perché è sovranamente libero”, conclude lo studioso. “È un Dio che chiede di essere temuto, di essere creduto per quello che è, non per quello che noi vorremmo che fosse. Un Dio al di là dei nostri schemi e delle nostre teologie. Ma è tuttavia un Dio che esiste, che c’è, che è presente: “il tuo Creatore” (Qo 12,1). Così Qohelet riesce a superare l’impasse tra pessimismo e ottimismo. Se non ci fosse questo Dio, tutto sarebbe davvero un soffio che svanisce nel nulla e la gioia sarebbe davvero solo un’illusione“.
Giovanni Bernardi