I numeri dicono che i giovani stanno peggio delle generazioni precedenti. La dimostrazione che una società in cui la fede viene snobbata, anche se più ricca e tecnologica, non è un posto migliore in cui vivere. Si stava meglio quando si stava peggio.
Un sondaggio internazionale ha riscontrato per la prima volta due fenomeni finora discussi ma mai così apertamente registrati.
Si parla dello studio più ampio mai condotto al mondo sul benessere mentale in relazione all’uso di internet, con 223.087 intervistati nel 2021 in 34 paesi del mondo. Si intitola Mental Health Million e a realizzarlo è stata un’organizzazione no profit fondata nel 2016 per studiare neurobiologicamente la mente umana, Sapien Labs.
I risultati estremamente preoccupanti
I risultati sono estremamente preoccupanti e in particolar modo per i più giovani, di cui il 44 per cento di età compresa tra 18 e 24 anni presenta “angoscia, con limitazioni dell’attività quotidiana”, a differenza del 7 per cento riscontrato tra le persone di età superiore ai 65 anni. Una realtà che si manifesta alla stessa maniera ovunque nel mondo, anche in paesi e contesti estremamente diversi.
Generando un divario tra generazioni cresciuto fortemente nel periodo della pandemia, e soprattutto in netto contrasto con i modelli di felicità e benessere spesso propagandati dalla società del consumo e dai suoi principali attori.
Nel cercare il filo comune tra coloro che manifestavano questo malessere, i ricercatori hanno notato che non era rappresentato dal reddito, dalla situazione politica o sociale o da altre componenti. Ma da un fattore che non avrebbero mai pensato: l’utilizzo massiccio dello smartphone e l’accesso a Internet.
Più si utilizza lo smartphone più si è tristi
L’ipotesi dei ricercatori è quindi che il malessere sia direttamente riscontrabile non tanto nel tempo trascorso davanti a internet ma in tutto ciò che si tralascia di fare nel momento in cui si passa esagerato tempo in rete. Le statistiche affermano che a livello globale le persone con accesso a Internet trascorrono in media da sette a dieci ore al giorno online, cancellando totalmente l’interazione con altre persone.
Il secondo dato interessante è che più il PIL nazionale è elevato più si verifica un benessere autodichiarato peggiore. Tutti i paesi sviluppati e ricchi hanno avuto i punteggi medi peggiori negli indici di benessere. Uno degli atteggiamenti che maggiormente porterebbe all’infelicità è l’idea di lavoro basato sulla “performance”, con premi e riconoscimenti in base a quanto si produce, magari attraverso l’utilizzo della superconnessione e della “flessibilità”, che diventa una schiavitù quotidiana da messaggi e email.
Coloro che vivono in queste società e in contesti con queste dinamiche, anche se sono più ricchi, sviluppati o di successo portano a una maggiore infelicità. Le conclusioni drammatiche dello studio sono due: che stare troppo online distrugge le interazioni sociali con le persone reali, e che la ricchezza non fa la felicità.
Le domande che emergono con questo studio
Due assunti che portano a domandarsi se la strada imboccata dalla nostra società è davvero la migliore, capace di soddisfare i desideri più profondi dell’uomo fino alla felicità e alla salvezza interiore, oppure se al contrario c’è fortemente bisogno di rivedere molti aspetti della vita che tanti stanno portando avanti, da soli o insieme.
Ad esempio, siamo davvero sicuri che questa continua corsa al guadagno, al piacere, alla produttività o alla connessione costante sia un prezzo adeguato da pagare, quello di barattare la propria felicità per una banale sicurezza economica? L’idea è che per produrre 24 ore al giorno 7 giorni su 7 si rischi di offrire, in cambio, la propria stessa vita.
Per cui ci si chiede quanto tempo sprechiamo effettivamente online, o a farsi rovinare la giornata da nervosismi, liti, risposte aggressive, o magari prendersela con sconosciuti ogni giorno? Forse è arrivato il momento di riconoscere che di fronte allo scorrere ineluttabile delle cose solamente la verità può salvare l’essere umano. Solamente ritornare a Dio, porsi dinnanzi a Lui e offrire a Lui e al prossimo la nostra vita può essere una risposta soddisfacente per l’animo umano.