Le sue parole non lasciano dubbi sul senso principale della missione che la religiosa è chiamata ad affrontare. L’arcivescovo Domenico Battaglia ha scelto per la guida della Caritas napoletana Suor Marisa Pitrella, 49 anni, che ora dovrà affrontare un ruolo estremamente delicato.
C’è infatti un solo e unico aspetto che la Chiesa è chiamata ad annunciare anche di fronte alle miserie sociali più dure e radicali, senza del quale ogni opera di carità rischia di risultare vana e priva di quell’amore di cui l’umanità da sempre va in cerca.
Suor Marisa, religiosa della Compagnia delle Figlie delle Carità da 27 anni, da sempre è impegnata con coloro che soffrono, gli ultimi, i malati, che spesso porta con sé in visita al Santuario di Pompei. Attraverso le mani della religiosa, che non solo accoglie i malati ma prega per loro e con loro, la chiesa napoletana avrà la possibilità di ricominciare a costruire per un futuro nuovo, migliore. Per farlo però, ha spiegato la suora, c’è un solo metodo che troppo spesso viene al contrario messo in disparte.
La prima vera grande urgenza per la società di oggi
“Se parliamo di emergenze che riguardano la povertà non possiamo nascondere i numeri, sono tantissime ma credo che si debba dare altrettanta importanza a quello che è un vuoto formativo”, ha detto la suora. “Oggi abbiamo il dovere morale di educare alla carità anche i giovani, dobbiamo ri-formarci, la formazione è la grande urgenza: rimettere al centro Cristo nella nostra vita. Ecco la prima povertà è questa”.
Una consapevolezza che dà il via a una grande rivoluzione in diocesi. Le sue parole e il suo impegno a favore dei poveri sono infatti testimonianza di una carità materna che incarna il vero volto della Chiesa, quello di chi non ha paura di amare fino in fondo sporcandosi le mani. E soprattutto che non tentenna nel mettere al centro il vero protagonista della carità, Gesù, l’unica fonte da cui può sgorgare ogni gesto di vero amore.
“I poveri o i problemi della povertà, come dice San Vincenzo, sono un opportunità e una grande risorsa per me”, sono le parole pronunciate dopo la nomina dalla suora al settimanale cattolico Famiglia Cristiana. Da anni suor Marisa presta la sua opera assistenziale nella Casa Sisto Riario Sforza ai Camaldoli. Qui vengono accolti, ma anche assistiti o curati, i malati di Aids.
La sorpresa con la nomina da parte del vescovo
Suor Marisa, forte del suo diploma da infermiera, si è fatta avanti sin dal primo minuto. Le sue mani hanno toccato e curato tanti corpi attaccati dal male dell’Aids, che avevano bisogno di tornare in vita, letteralmente. Dopo che da ragazza si è buttata sulle strade della vita per raccogliere tossicodipendenti, derelitti, uomini e donne in fin di vita a causa del male che svuota da dentro, il dramma della droga.
Quando è arrivata la nomina del vescovo, in lei si è fatta strada solamente la sorpresa. “Gli ho chiesto come mai avesse scelto me. Lui mi ha detto: Tu hai le mani in pasta e abbiamo bisogno di una persona che ha toccato la vita ferita. Ed io posso solo dire che in questa missione devo continuare ad essere la piccola serva della carità che insieme agli altri può fare rete e aiutare le persone che soffrono”.
La dura realtà della Caritas di Napoli
Nelle prima dichiarazioni della suora da direttrice della Caritas Diocesana di Napoli la religiosa ha spiegato che tutto quello che la Caritas diocesana ha svolto fino a questo momento non va cancellato, e che lei stessa lavorerà “nel segno della continuità e della novità perché come ieri anche oggi tante persone donano la propria vita per la carità”. Ma ricordandosi allo stesso tempo che “vivere la carità non è dare soldi ma permettere all’altro di avere una dignità permettergli di camminare con le sue gambe”.
Insomma, non basta essere buoni operatori sociali, è necessario essere perfetti annunciatori di Cristo. Anche perché, di fatto, le emergenze che si troverà ad affrontare in una realtà come quella della Caritas a Napoli sono tantissime, dure da affrontare, nonostante si tratti di una vera e propria eccellenza in un territorio fortemente dolorante. Così il compito di Marisa assume un significato alto, e grande: quello di portare Cristo agli ultimi perché sono proprio loro che, come afferma Gesù stesso nel discorso delle Beatitudini, “saranno i primi”.
“In questo primo tempo non solo ascolterò ma osserverò e conoscerò per poi comprendere quale orientamento, come equipe diocesana, si vorrà adottare. Non dobbiamo dimenticare che arriviamo da un tempo in cui incontrare l’altro si ha paura”, ha spiegato la suora, ben consapevole di avere in tasca una ricetta con cui non si può sbagliare. Vale a dire, “riscoprire quella tenerezza e quella vicinanza di cui parla Gesù quando ci parla del buon samaritano, del prendersi cura dell’altro e dell’I Care di cui parla don Milani”.