Nel giorno del quarto anniversario del rapimento del sacerdote gesuita Paolo Dall’Oglio, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella invita a non smettere di cercare la verità su quanto capitato a Raqqa il 29 luglio del 2013: “Il tempo non attenui la volontà di cercare la verità”. Il capo dello Stato esprime poi la propria solidarietà nei confronti della sua famiglia ed auspica una liberazione: “Vicinanza e solidarietà ai suoi familiari, così provati da una lunga e dolorosa attesa”.
Alle parole di Mattarella fa eco il premier Paolo Gentiloni, il quale affida a Twitter la sua speranza di riuscire a consegnare alla famiglia il sacerdote: “Quattro anni dopo un pensiero a padre Paolo Dall’Oglio scomparso a Raqqa e alla sua famiglia. Continuiamo a lavorare e a sperare”. Al momento, però, c’è poco più che la speranza: sin dal giorno del suo rapimento, infatti, ci sono solamente notizie frammentarie ricevute da voci di corridoio. Non esiste quindi nessuna notizia certa sulle sue condizioni di salute né sull’identità dei suoi rapitori, anche se si sospetta che il rapimento sia stato effettuato da un gruppo di fondamentalisti religiosi.
Padre Dall’Oglio era in Siria sin dagli anni ’80 e da oltre trent’anni portava avanti una volenterosa attività di assistenza e di dialogo interreligioso. Il suo impegno è stato fondamentale per rifondare l’antica comunità monastica ‘Mar Musa’ che con gli anni si è trasformata in un centro di accoglienza per indigenti ed in un luogo di confronto tra persone appartenenti a varie fedi (cattolica, musulmana e ortodossa).
L’attività di confronto e dialogo portata avanti dal sacerdote gesuita non è mai piaciuta al governo siriano che nel 2011 ha minacciato di bandirlo dal Paese e che l’anno dopo lo ha effettivamente bandito durante la repressione delle rivolte popolari del 2012. Per un anno Padre Dall’Oglio ha trovato ospitalità nel monastero di Deir Maryam el Adhra nel Kurdistan. Ad inizio 2013 è rientrato in Siria e pochi mesi dopo è stato rapito.