Agghiacciante storia della giovane che aveva visto l’attentato dell’Isis con i suoi occhi e che ha scelto di uccidersi grazie a uno Stato complice che ha risolto il suo profondo disagio, facendola direttamente fuori.
Il Paese è stato però condannato per l’accaduto, in particolare quando si è scoperto che non era tutto così chiaro come si voleva fare credere, ma che purtroppo vi erano conflitti di interessi a dir poco inaccettabili.
Shanti de Corte era una ragazza di 23 anni sopravvissuta all’attacco dell’Isis all’aeroporto di Bruxelles nel 2016. I terroristi che si trovavano nell’atrio dell’aeroporto hanno ucciso 18 persone e ne hanno ferite altre 92, e la giovane miracolosamente ne uscì illesa. Ma la sua vita cambiò per sempre quel giorno, lasciandola profondamente traumatizzata.
L’inaccettabile complicità statale nella morte della giovane
Quando si è sentita meglio, ha detto alla stampa che voleva vivere per gli altri e che voleva essere un esempio per gli altri sopravvissuti che è possibile vivere di nuovo nonostante il trauma. Tuttavia, le cose sono peggiorate e il dosaggio dei farmaci è aumentato, portando Shanti a chiedere l’eutanasia. Inizialmente la sua richiesta è stata respinta. Anche i suoi amici all’aeroporto quel giorno erano preoccupati. A differenza della sua insistenza sull’eutanasia, stanno vivendo una vita migliore, seguendo un programma di sostegno psicologico attraverso cure mediche e terapie.
Dopo sei anni di alti e bassi, di giornate passate a parlare di tentativi di suicidio e di medici che le somministravano dosi massicce di antidepressivi, nell’aprile di quest’anno Shanti ha deciso di chiedere l’eutanasia a causa di una “sofferenza mentale insopportabile”. La richiesta è stata incredibilmente accolta, grazie a una legge belga che consente alle persone di morire per mano dello Stato se sono depresse. Pochi minuti prima di lasciare la sua vita ha pubblicato una foto di sé su Facebook, sorridendo con gli occhi chiusi.
La giovane ha deciso di togliersi la vita e lo Stato l’ha assecondata
Una decisione certamente dolorosa, che però non può restare isolata nel silenzio di una scelta personale. Oggi come non mai è necessario mettere in luce il dramma di fronte a cui ci troviamo nel momento in cui lo Stato permetta a una ragazza di 23 anni, che era nel fiore della proprio esistenza, di mettere fine alla propria vita con l’eutanasia”. Un Paese che fa parte dell’Unione Europea non può essere il fautore della morte di una giovane ragazza. Eppure, da presunta patria della civiltà l’Europa è diventata un luogo in cui lo Stato può togliere la vita a una persona solo perché è depressa, al posto di fornire l’aiuto e il sostegno psicologico necessari. Il tutto in maniera legate.
La Commissione federale belga per il controllo e la valutazione dell’eutanasia (CFCEE) non ha trovato nulla da contestare. La Procura di Anversa ha aperto un’indagine sulla sua morte, ma senza esito. I medici e i giuristi della Commissione federale per la valutazione e il controllo dell’eutanasia hanno deciso che non era riprovevole approvare la richiesta di uccidere una persona con un corpo perfettamente sano e intatto e senza segni di malattie fisiologiche.
La Corte europea ha scovato qualcosa di molto grave dietro la vicenda
La storia di Shanti è stata pubblicata pochi giorni fa e lo stesso giorno la Corte europea dei diritti dell’uomo, con una sentenza storica, ha condannato il Belgio a modificare la sua legge sull’eutanasia, in quanto il Belgio sta violando il diritto alla vita dei suoi cittadini. Nel caso affrontato dalla Corte europea, è emerso che il medico che ha valutato la richiesta di eutanasia non era infatti di certo un soggetto indipendente, ma era al contrario affiliato all’organizzazione pro-eutanasia “Leif”. Vale a dire, guarda caso, la stessa organizzazione che ha permesso a Chantilly de Corte di presentare la sua domanda.
In sostanza, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato all’unanimità il Belgio per aver modificato la sua legge sull’eutanasia in quanto viola il “diritto alla vita” dei cittadini tutelato dall’articolo 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, denunciando i conflitti di interesse all’interno della Commissione per il controllo dell’eutanasia. È evidente che una commissione non può essere definita “indipendente” se i medici che uccidono i pazienti valutano e votano i casi influenzando i loro colleghi.
Il neurologo Paul Delten sostiene inoltre che alla ragazza non è stato offerto il miglior trattamento possibile per la sua situazione. C’è stato infatti un periodo in cui Shanti riconosceva che davanti a sé aveva ancora molta strada da fare. Non è stata minacciata da una malattia incurabile, non è stata distrutta da un dolore fisico insopportabile, non è stata messa a letto e non c’è stata nessuna spina da staccare. In Belgio, però, nel centro dell’Europa che si considera “progredita”, l’eutanasia è una soluzione sempre più diffusa alla sofferenza psicologica delle persone.