Le parole di Papa Francesco dal balcone di Piazza San Pietro ci ricordano una verità fondamentale di cui spesso si rischia di fare a meno.
Francesco infatti si è soffermato su un verbo che spesso rischia di passare in secondo piano ma che al contrario, solamente nel Vangelo di oggi (Gv 15, 1-8), Gesù ripete per ben sette volte. Si tratta del verbo “rimanere”. Il Signore infatti nel Vangelo di Giovanni si presenta come la vera vite e parla dei tralci uniti a Lui, in quanto vera e propria sorgente della loro esistenza.
Nel testo evangelico il Signore lo dice chiaramente ai suoi discepoli, mettendo in luce un aspetto assolutamente centrale del nostro rapporto con Lui e della fede che ogni giorno sorregge questa relazione di amore e di salvezza destinata a durare per sempre, ben oltre le miserie e la caducità della vita.
“Rimanete in me e io in voi”, afferma infatti il Signore, e nella catechesi che precede il Regina Coeli, recitato dalla finestra del suo studio nel Palazzo Apostolico, il Papa lo ricorda con tutto il suo vigore. Infatti è necessario per i fedeli non solamente partecipare ai Sacramenti, ad esempio pregando e vivendo la propria vita nella chiesa come viene, anche in maniera passiva.
Questo non basta: i cristiani, al contrario, sono chiamati a rimanere in Gesù in modo attivo e reciproco. A dare tutto ciò che hanno per la missione di testimoniare il Vangelo a chiunque si incontra nella propria vita, e a offrire le proprie giornate e i propri gesti al Signore, o il rischio è che la nostra fede sia sterile e non porti frutto.
Papa Francesco ha infatti sottolineato, in Piazza San Pietro davanti ai fedeli accorsi ad ascoltarlo, che il rimanere in Gesù “non è un rimanere passivo, un ‘addormentarsi’ nel Signore, lasciandosi cullare dalla vita”. Al contrario, è molto altro. Si tratta infatti di “un rimanere attivo e anche reciproco”.
Ciò che emerge nel Vangelo di oggi è che i tralci senza la vite non possono fare nulla, ma hanno bisogno della linfa per crescere e per dare frutto. Lo stesso accade per la vite, che ha bisogno dei tralci, per la semplice ragione che i frutti non spuntano sul tronco dell’albero. Così è il nostro rapporto con Gesù, che si nutre di un bisogno reciproco, un rimanere reciproco per dare frutto.
Siamo noi che rimaniamo in Gesù affinché Gesù rimanga in noi e possa condurre ogni momento la nostra vita verso il porto sicuro del suo amore, senza il quale non c’è salvezza. A tutto ciò, anche osservare i comandamenti oppure compiere opere di misericordia viene dopo. Al primo posto della vita cristiana infatti, ha affermato il Papa con vigore, c’è la forza e la necessità di “essere uniti al Signore”, e quindi di “rimanere in Lui”.
Si può infatti essere buoni cristiani solo a patto di riuscire a rimanere in Lui. Perché a quel punto, proprio rimanendo il Lui, si spalanca una consapevolezza straordinaria. Che in Lui possiamo tutto. “Anche Gesù, come la vite con i tralci, ha bisogno di noi”, è quanto sottolinea ancora Francesco.
Ciò che mette in luce il Papa in questo passaggio è un concetto che a prima vista può persino sembrare “audace”, ha spiegato, ma che diventa ovvio quando realizziamo che il Signore stesso ha bisogno della testimonianza di ciascun fedele, che si incarna nel vivere la propria vita in maniera cristiana. Così si annuncia il Vangelo di Gesù, con la parola e con le opere, e di conseguenza si porta avanti la sua missione, portando il suo frutto. Vale a dire, il frutto dell’amore.
“Attaccati a Cristo, riceviamo i doni dello Spirito Santo, e così possiamo fare del bene al prossimo, fare del bene alla società, alla Chiesa. Dai frutti si riconosce l’albero. Una vita veramente cristiana dà testimonianza a Cristo”.
Per farlo, il Papa ha ricordato che c’è bisogno di uno strumento ben preciso: la preghiera. Proprio da questa infatti dipende “la fecondità della nostra vita”. Questa ci permette di vivere “con gli occhi di Gesù”, grazia ai quali amare incondizionatamente il prossimo, l più povero e sofferente, e portando loro “frutti di bontà, frutti di carità, frutti di pace”.
Giovanni Bernardi
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