Per capire cosa ha rappresentato davvero il ’68 bisognerebbe averlo vissuto, quell’anno (laddove per anno si pensa all’inizio dei movimenti ma siamo di fronte ad una temperie durata più a lungo) ha segnato un cambiamento nella storia della società moderna su più livelli, le proteste e le manifestazioni hanno avuto un ruolo chiave contribuendo ad ottenere da un punto di vista politico e sociale il riconoscimento di diritti che altrimenti sarebbero rimasti segregati. Se quell’anno ebbe alla lunga degli effetti positivi o negativi sulla società stessa è ancora materia di discussione che meriterebbe pagine e pagine di approfondimenti, ma in linea generale quella rivoluzione dei costumi, della consapevolezza e del modo stesso di concepire la vita viene vista come un cambiamento accettato ed acclamato da tutti. Possiamo dire che lo stesso sia successo in Italia?
Una posizione autorevole a riguardo l’ha espressa l’intellettuale Marcello Veneziani sul proprio blog. In questo ha pubblicato tre articoli di approfondimento proprio sulla rivoluzione del’68 in Italia che non tralasciano nessun punto di vista. Nel secondo, ad esempio, Veneziani parla di tutti quegli italiani, intellettuali o appartenenti alla classe borghese, liberali o religiosi che si sono opposti con vigore alle istanze sessantottine, denunciandone le storture. In un passo significativo di questo articolo, infatti, si legge: “Non è dunque vero che la cultura italiana accolse il ’68 a braccia aperte o preferì tacere e defilarsi. Vi fu un gran pronunciamento di segno contrario, da parte di conservatori ma anche di intellettuali indipendenti, di cattolici non progressisti ma anche di liberali, oltre che di autori dichiaratamente tradizionalisti o nazionalisti”.
L’autore spiega anche come quella reazione contraria al ’68 non era guidata da una posizione di “classe”, ma era frutto di un pensiero autonomo che pensava che quella novità, quel cambiamento non fosse positivo: “La loro risposta non era il frutto di una scelta puramente elitaria, da torre d’avorio, perché corrispondeva a un diffuso sentire tra i docenti e molti studenti, nelle famiglie e tra la gente comune, non solo borghesi spaventati. tra questi bisogna ricordare don Luigi Giussiani ma anche il filosofo Romano Averio.
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