La revisione del Padre nostro è orami decisa ed entrerà in uso, anche nella liturgia, tra pochi mesi, probabilmente da Novembre del 2018.
Si, come si poteva immaginare, molti di coloro che non vedono di buon occhio l’operato di Bergoglio stanno prendendo a pretesto la sua iniziativa, per criticarlo aspramente.
Secondo costoro, infatti, si tratterebbe di un grave “abuso di potere” da parte del Papa, in quanto la modifica del Padre nostro implica di cambiare le parole di Cristo stesso che, nel Vangelo, dona agli Apostoli quella specifica preghiera, con quelle specifiche parole, quando essi gli chiedono come pregare il Padre celeste.
Revisione del Padre nostro, un’iniziativa di Papa Benedetto XVI
Molti ignorano, forse, che, in realtà, la modifica fu apportata da Papa Benedetto XVI e già nel 2008. Monsignor Giuseppe Betori, all’epoca segretario della CEI, spiegò: “La scelta del Consiglio permanente è stata quella di intervenire solo dove fosse assolutamente necessario, per la correttezza della traduzione”.
“Nel caso del Padre nostro, si è affermata l’idea che fosse ormai urgente correggere il “non indurre”, inteso ormai comunemente in italiano come “non costringere”. L’ inducere latino (o l’ eisfèrein greco), infatti, non indica “costringere”, ma “guidare verso”, “guidare in”, “introdurre dentro” e non ha quella connotazione di obbligatorietà e di costrizione che invece ha assunto nel parlare italiano il verbo “indurre”, proiettandolo all’interno dell’attuale formulazione del Padre nostro e dando a Dio una responsabilità – nel “costringerci” alla tentazione – che non è teologicamente fondata. Ecco allora che si è scelta la traduzione “non abbandonarci alla” che ha una doppia valenza: “non lasciare che noi entriamo dentro la tentazione”, ma anche “non lasciarci soli quando siamo dentro la tentazione”.”.
Revisione del Padre nostro: in cosa consiste la modifica
La modifica, infatti, riguarderà un solo vocabolo e non pare così grave, se si pensa che il testo del Padre nostro, che leggiamo nella Sacra Scrittura, è comunque una tradizione, tratta da un’antica lingua.
Sicuri che chi lo tradusse, o chi lo ispirò, non volesse certo alludere al fatto che fosse Dio a portarci ad essere tentati dal male -il che è teologicamente impossibile, ma anche insensato, in quanto Dio è il Sommo Bene e non può certo ingannare i suoi figli- sembra più che opportuno, oggi, rendere il testo chiaro a tutti.
All’epoca della proposta di modifica di Papa Benedetto XVI, scrissero: “Il “Padre nostro” non è quello di Papa Benedetto XVI. Dio non ci induce in tentazione! Benedetto XVI si è fatto ingannare dal diavolo”.
Allora Bergoglio era solo -si fa per dire- un Arcivescovo argentino. Ora -gli stessi probabilmente- dicono a gran voce: “Con quale improntitudine si osa manomettere un testo vecchio di duemila anni? In Germania, contro la nuova traduzione, sostenuta da Bergoglio, hanno obiettato pure gli atei!”.
Ma la frase incriminata è “non abbandonarci alla tentazione”, al posto di “non indurci in tentazione” e chi ne conosce bene il significato (o chi conosce, per lo meno, il significato della lingua italiana), non ha motivo di replicare.
Revisione del Padre nostro: il senso della preghiera
Del resto, anche un’antica, quanto anonima, riflessione, che spesso troviamo scritta nei Monasteri e in altri luoghi sacri, ci esplicita come, e con quale spirito soprattutto, si debba recitare il Padre nostro.
Eccola a voi, nella sua versione integrale, per permettervi di comprendere a pieno l’infondatezza delle critiche dell’ultima ora:
Non dire: PADRE, se ogni giorno non ti comporti da figlio. Non dire: NOSTRO, se vivi soltanto del tuo egoismo. Non dire: CHE SEI NEI CIELI, se pensi solo alle cose terrene.
Non dire: VENGA IL TUO REGNO, se lo confondi con il successo materiale.
Non dire: SIA FATTA LA TUA VOLONTA’, se non l’accetti anche quando è dolorosa.
Non dire: DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO, se non ti preoccupi della gente che ha fame. Non dire: PERDONA I NOSTRI DEBITI, se non sei disposto a perdonare gli altri.
Non dire: NON CI INDURRE IN TENTAZIONE, se continui a vivere nell’ambiguità.
Non dire: LIBERACI DAL MALE, se non ti opponi alle opere malvagie.
Non dire: AMEN, se non prendi sul serio le parole del
PADRE NOSTRO.
Ora, se abbiamo ben compreso il senso di questa revisione del Padre nostro, c’è una sola obiezione possibile, che riguarda lo studio mnemonico della preghiera.
Dopo anni in cui abbiamo ripetuto quella formula a memoria, senza nemmeno doverci pensarci su, faremo un po’ fatica a cambiarla, a recitarla senza incappare in qualche errore.
Ma, probabilmente, il problema è proprio questo: finora, non abbiamo mai realmente pensato al significato profondo del Padre nostro, abbiamo semplicemente ripetuto le parole a memoria.
Beh, è ora che ce ne chiediamo il senso.
Antonella Sanicanti