Oggi viviamo in un mondo frenetico e sotto certi aspetti molto poco umano. Tra cultura dello scarto e globalizzazione dell’indifferenza, la bellezza potrà ancora “salvare il mondo”?
La domanda è stata posta all’interno di un articolo pubblicato sull’ultimo numero di Civiltà Cattolica, la storica rivista dei gesuiti con sede a Roma, in via di Porta Pinciana, a due passi dall’incantevole Piazza di Spagna. La famosa citazione riporta al classico della letteratura russa “L’idiota”, dello scrittore Fedor Dostoevskij.
Oggi si parla infatti tanto di bellezza, e poco la si capisce e si riesce a goderne. I canoni estetici sono sempre più ingabbiati in modelli preconfezionati, utili al mercato, alla produttività, al funzionalismo e all’utilitarismo. Ciò è riflesso della società post-industriale, in cui tutto è noia e raramente si incrociano i valori, l’amore, insomma, la vera bellezza.
La bellezza oggi non ha più la stessa influenza che aveva un tempo. Quando i Papi parlano di bellezza, generalmente si sono rivolti agli artisti, ma il loro discorso oggi sembra astratto e poco attuale. Il presidente della Repubblica Giuseppe Conte, parlando dei lavoratori del mondo dello spettacolo, ha parlato degli artisti come di quelle persone “che ci fanno tanto divertire”.
“Ma che cosa significa la bellezza in un mondo che sempre più rivela le tracce di una distruzione senza precedenti?”, si chiede l’influente rivista dei gesuiti, diretta da padre Antonio Spadaro. Il punto però, si spiega nell’articolo, è che oggi la bellezza è sempre più identificata con ciò che piace. Quello che ci si domanda, però, è se sia effettivamente vero che la bellezza corrisponda a ciò che piace.
Come dire che sia impossibile trovare amore e bellezza anche in un contesto di sfortuna, di sofferenza, di privazione. Sappiamo che non è così. Gesù, Via Verità e Vita, fonte inesauribile di una vita vissuta nella vera bellezza, predilige proprio i poveri, gli ultimi, i sofferenti, chi si riconosce come misero e bisognoso di amore, come portatori del suo messaggio di Vita Nuova, di Salvezza e Redenzione.
Allora si capisce subito che identificare la bellezza con la piacevolezza è un grande errore. La domanda che la società in cui viviamo si pone sempre meno riguarda il senso dell’esistenza umana. Che cosa dà senso alla vita di ciascun uomo? La bellezza fine a sè stessa, o la bellezza di un incontro, di un amore donato nella sua pienezza e totalità, proprio come quello, insuperabile, di Gesù Cristo morto sulla croce per la salvezza di tutta l’umanità?
Si tratta di una domanda fondamentale a cui non ci si può sottrarre, se si ha intenzione di conoscere a fondo l’essenza della bellezza e la possibilità di sperimentarla nella propria vita. Le società europee in particolare, e Occidentali, purtroppo, identificano sempre più la bellezza come benessere materiale e arbitrio incondizionato nelle proprie azioni, slegato da ogni riferimento etico e morale.
Purtroppo però, in questo modo, la strada per la vera bellezza si trova ad essere tutta in salita. “La pienezza della vita verrà sperimentata da coloro che ricevono e godono la vita come dono“, scrive l’autore dell’articolo. Affermando un dato di realtà che tuttavia spesso non è affatto ovvio.
“Oggi si ha spesso l’impressione che ognuno di noi debba fornire una prestazione che giustifichi la propria vita di fronte alla società”, spiega. Sottolineando che chi non riesce a fornire questo tipo di prestazioni, sempre più, si sente messo in disparte. Emarginato, non amato e non riconosciuto nella sua interezza.
“Per chi invece considera la vita come dono, ogni esistenza è preziosa e bella”, chiosa lo scrittore. A questo punto, però, c’è anche la necessità di “esercitarsi a praticare tale atteggiamento” di vita rivolta alla bellezza più pura e profonda. Ovvero a considerare la propria vita, e quella degli altri, un dono di cui essere infinitamente e profondamente grati.
Accogliendolo ogni giorno come tale, ogni mattina al proprio risveglio e ogni sera prima di coricarsi. “Innanzitutto, posso coltivare un senso di bellezza e mantenere la capacità di stupirmi”, spiega il religioso. “Un’altra possibilità sarebbe quella di esercitarmi a pensare oltre l’orizzonte terreno“. Esercizi quotidiani di spiritualità, riassunti in poche parole.
“Praticare il senso di stupore di fronte al bello, e proprio in questo atteggiamento cogliere un’apertura del mondo a una sua realizzazione al di là di se stesso. Nella percezione del bello si riconosce che tutto ciò che ci viene dato è un dono”, spiega. Le bellezza infatti ci appare e si disvela a ciascuno, nel proprio intimo, in diverse e numerose forme.
In questo, sono i poeti, gli artisti, gli amanti e i mistici ad avere un ruolo importante nel processo di questo disvelamento collettivo. Affinché “oggi si riveli il segreto del bello”. Infine, sono due gli elementi che è fondamentale recuperare oggi, nel ventunesimo secolo, affinché si possa tentare di recuperare quel senso di bellezza ormai perduto, e riportarlo in auge nel dibattito pubblico, presenza costante nella vita moderna.
Questi due elementi sono il silenzio e l’attesa. Il primo, il silenzio, ha il suo senso profondo nella bellezza del secondo, dell’attesa. “Aspettare può essere lancinante, può torturare e persino uccidere; ma può anche avere una magia meravigliosa”, spiega il gesuita.
Per essere bella, infatti, l’attesa deve essere “strutturata” e “sopportata”. Questa, infatti, “prepara a una venuta”. “Vegliate, dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”, afferma non a caso Gesù, come riportato nel Vangelo di Matteo (Mt 25,13). “Allora acuisco i miei sensi, mi mantengo sveglio, divento sensibile a segni piccoli e poco appariscenti”, scrive l’autore dell’articolo.
“Sono solo con me stesso. Questo è il momento in cui in me può sorgere la bellezza dell’attesa. Perché nel vuoto, nel nulla e nel silenzio che si aprono io scopro che l’altro mi viene incontro, sia che sorgano per me i colori nella loro bellezza, sia che si manifesti la straordinarietà di un suono, di una chiamata, o il miracolo di un incontro”, conclude.
“La bellezza dell’attesa consiste nello sperimentare tutto come dono. Questo è ciò che il misticismo chiama Grazia“.
Giovanni Bernardi
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