In questi giorni, in cui i Tg non mancano di ricordarci cosa è accaduto al ponte Morandi, che sovrastava un rione della città, oggi sfollato, anche i Social ci parlano delle vite spezzate in quel tratto di strada -tra loro anche dei bambini- e raccontano le storie di quelli che si recavano a lavoro o in vacanza e che, invece, hanno trovato la morte.
Così, oggi, molte di quelle famiglie, mutilate dalla tragedia indefinibile e affrante dal dolore, per l’ ennesimo dramma annunciato e che, dunque, si poteva evitare, dicono “No, ai funerali di Stato”.
Ci tengono a precisare che non vogliono innescare una polemica nei confronti dello Stato, che pure dovrà ammettere e ottemperare alle sue responsabilità e a quelle dei tanti, direttamente o indirettamente, implicati nei controlli e nella manutenzione del ponte Morandi.
Nel rispetto delle vittime che hanno perso la vita, le famiglie chiedono di poter consumare il loro dolore nel paese di origine, circondati da persone che volevano bene a quei loro cari che non torneranno più.
Almeno questo lo Stato deve garantirlo, tanto per cominciare.
Dunque, per ora, sono sei le famiglie che hanno scelto di salutare i loro congiunti nel paese di provenienza: “Ora è il momento del dolore e il dolore deve essere condiviso con chi, per ragioni anagrafiche o di salute, non poteva raggiungere Genova”, spiega il padre di Giovanni, il ragazzo di Torre del Greco, morto nel crollo, a soli 29 anni.
Ed è questo lo stesso sentore degli altri. E noi, in ossequioso silenzio, ci uniamo alle loro preghiere, al loro sconforto, chiedendo a Dio di dare sostegno e serenità, laddove l’egoismo umano ha mancato e dove è sovrabbondata l’indifferenza per la vita altrui.
Antonella Sanicanti
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