Nel maggio scorso l’amministrazione comunale di Roma ha deciso di rimuovere i manifesti affissi da Citizen Go contro l’aborto. La decisione è stata duramente criticata dall’associazione pro life che ora ricorre al Tar del Lazio.
Il presidente della sezione italiana di Citizen Go, Filippo Savarese, ha annunciato di aver deciso di ricorrere al Tar del Lazio per la questione manifesti contro l’aborto. In molti ricorderanno i manifesti affissi dall’associazione pro life nel maggio scorso tesi a sensibilizzare l’opinione pubblica contro le politiche di controllo nascita applicate in Cina ed in altri Paesi del mondo. Nei manifesti si vedeva l’immagine di una donna incinta che si accarezzava il grembo nudo in segno di protezione del feto, un’immagine unanimemente riconosciuta come positiva, a cui si legava un messaggio volutamente provocatorio: “L’aborto è la prima causa di femminicidio nel mondo”.
Manifesti contro l’aborto, le critiche e la rimozione
I manifesti in questione sono rimasti affissi per le strade di Roma meno di un giorno, tanto è bastato perché la provocatoria iniziativa raggiungesse il fine di generare un dibattito mediatico a riguardo. Il messaggio suggerito dalla frase, però, ha generato più critiche che consensi e la sera stessa l’amministrazione comunale della Capitale ha provveduto a fare rimuovere tutti i manifesti controversi. La campagna è stata infatti ritenuta lesiva dei diritti individuali del singolo individuo (in riferimento al diritto di abortire sancito per legge) poiché puntava a criminalizzare una decisione spesso controversa come quella di porre fine ad una gravidanza.
Citizen Go ha ritenuto ingiusta l’opera di censura messa in atto dalla città di Roma ed ha avviato sin dal giorno successivo una campagna fondi per poter portare avanti un’azione legale contro l’amministrazione comunale. Oggi i fondi sono sufficienti ad un ricorso al Tar del Lazio, dunque l’associazione ha dato mandato all’avvocato Massimo Luciani di prepararlo.
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Luca Scapatello