Uno dei drammi più limitanti che la vita ci possa riservare è quello di nascere ciechi o peggio diventarlo nel corso della vita. La vista ci permette di ammirare la bellezza del creato e di rapportarci con il mondo nella sua totalità. Si può dire, dunque, che la nostra relazione con il mondo fisico è influenzata a primo impatto dalla vista e non vi è dubbio che non averla ricevuta o perderla possa essere un dramma di non poco conto. In considerazione di questa problematica viene da chiedersi se la vista è altrettanto importante per riconoscere la verità, se questa è necessaria per riconoscere ciò che davvero conta in questa nostra breve esistenza nel mondo, la luce di Dio.
La risposta a questo dubbio è contenuta nei Vangeli in cui si narra della volta in cui Gesù Cristo ha guarito un cieco donandogli nuovamente la vista. In quella occasione il messia dice all’uomo: “Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!”. Il messaggio dei Vangeli è chiaro: non serve la vista per credere in Dio, non servono nemmeno continue dimostrazioni della sua esistenza attraverso i miracoli, basta semplicemente la fede e coloro che la possiedono senza bisogno di avere prove ulteriori sono beati.
Una di queste persone è sicuramente il monaco certosino non vedente intervistato da Philip Groning per il suo documentario Into Great Silence. Questo monaco conosce tutto ciò che c’è intorno a lui, sa in che modo preponderante ha preso piede la tecnologia al giorno d’oggi e come le persone siano concentrate più a godersi i frutti del più gretto materialismo piuttosto che rivolgere il proprio sguardo a Dio. Proprio in considerazione di questi fatti nell’intervista il religioso dichiara: “Ringrazio spesso Dio per aver permesso che diventassi cieco. Sono sicuro che lo ha permesso per il bene della mia anima”.
Si tratta di un pensiero profondo ed in controcorrente con quello del resto del mondo che sembra aver smarrito la fede e che oltre a investire gran parte della sua giornata sui social si diletta nella creazione di distopie che palesano la paura per la fine del mondo così come lo conosciamo e quella della morte. Un altro grande insegnamento di questo monaco cieco riguarda proprio il rapporto con la morte che non è intriso dal timore, bensì da una spasmodica attesa per quello che uno step verso l’unione definitiva con Dio: “Più ci si avvicina a Dio, più si è felici. È questo lo scopo della nostra vita. Egli cerca sempre il nostro bene. Non c’è quindi motivo di preoccuparsi di alcuna cosa che ci accade”. La pace interiore di quest’uomo, il suo rapporto con il silenzio e il soprannaturale hanno molto da insegnare al mondo intero e mostrano come ancora oggi sia possibile vivere del necessario e non del superfluo.