La storia di Beatrice è una storia come quella di tante altre ragazze che si sono ritrovate nella stessa situazione, giovane donna che si lascia andare per amore ad avere rapporti completi, un po d’incoscienza e la frittata è fatta, si rimane incinta è i sentimenti che prevalgono sono la vergogna, lo sconforto, la disperazione che prende il sopravvento, non sai cosa fare e allora pensi che con un semplice gesto puoi cancellare tutto. Ecco come l’aborto entra nella vita delle persone soprattutto delle ragazze più giovani che vedono in questo una liberazione, per poi scoprire che non è così, altro che scelta responsabile.
Una delle cose che ferisce di più le donne rimaste incinta è il giudizio degli altri soprattutto nella provincia questo fenomeno è più diffuso, come direbbe una mia amica la lingua non ha le ossa ma spezza le ossa. E’ così Beatrice decide di abortire anche perchè nessuno le ha proposto un’altra alternativa, ma quel gesto rimarrà per sempre impresso nella sua vita , nella sua memoria, una ferita aperta che continua a sanguinare anche a distanza di tempo, un peso quasi insopportabile che solo la fede può alleggerire.
A raccontare la storia del suo aborto è l’attrice Beatrice Fazi, la Melina di “Un medico in famiglia“. A La Repubblica (2 settembre), Fazi riporta il dramma di quei giorni vissuti nel 1993, quando a 20 anni rimase incinta di un uomo della sua stessa città d’origine, Salerno. Lui, 37 anni, si era dileguato appena saputa la notizia della gravidanza, niente di nuovo sotto al sole purtroppo. Ecco alcuni brani tratti dal suo racconto:
«Sto aspettando un figlio tuo!», gli scriveva Beatrice in una toccante lettera pubblicata ora su “Cuore Nuovo“, un libro autobiografico. «Un figlio nostro – proseguiva Fazi – che probabilmente non nascerà mai. Che non sentirò mai attaccarsi al mio seno già prospero. Non sentirò mai agitarsi nel mio grembo già gonfio, a punta. Un bambino, per crescere, ha bisogno di un padre e di una madre che si amino, che si rispettino, che si completino».
«Comunque, non temere, mia madre non sa nulla. Nessuno sa nulla. Anzi, vorrei che tu strappassi questa lettera. Vorrei che non restasse traccia di questo omicidio. Però, se di omicidio si tratterà, spero che tutte le volte che vedrai un bimbo per strada ti si spezzi il cuore, ti si geli il sangue (…) Ucciderò questo figlio per la mia carriera? No. So che potrei continuare a studiare anche con lui. Lo ucciderò perché non mi ami. Perché non ti amo. Perché ho paura. Cosa potrei offrirgli? Tanto! Ma non basterebbe».
Passano dieci anni
Dieci anni dopo questo triste epilogo la vita dell’attrice rinacque quando, da quasi atea, si avvicinò alla Chiesa. A Roma conobbe un sacerdote, il francescano don Fabio Rosini, durante la gravidanza della sua prima figlia. A lui confessò l’aborto avuto anni prima.
IL PERCORSO SPIRITUALE
«Quel sacerdote – ricorda – mi ha detto di non pensare al giudizio di Dio, ma alla sua misericordia, che ero già stata perdonata. Da lì è cominciato il mio cammino spirituale che mi ha portato oggi ad essere una catechista come mio marito che fa l’avvocato, perché oggi la nostra è una storia d’amore a tre: noi due e Dio. Un percorso spirituale che mi ha portato a capire come Dio fosse lontano dall’idea che ne avevo di un giudice impietoso che mi avrebbe chiesto il conto dei miei peccati».
SCOMUNICA E MISERICORDIA
Il gravissimo peccato dell’ aborto, infatti, si può cancellare secondo la Chiesa cattolica, ma a determinate condizioni. La Chiesa sanziona con una pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. “Chi procura l’aborto, se ne consegue l’effetto, incorre nella scomunica latae sententiae” (Cic, can. 1398), “per il fatto stesso d’aver commesso il delitto” (Cic, can. 1314) e alle condizioni previste dal diritto (cfr. Cic, cann. 1323-1324). La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all’innocente ucciso.
CHI PUO’ ASSOLVERE DAL PECCATO
Il Codice di diritto canonico prevede l’aborto sia tra quei peccati che i sacerdoti “normali” non possono assolvere e quindi occorre ricorrere ad un penitenziere maggiore: l’assoluzione è riservata al vescovo o a un confessore da lui delegato dopo che la donna si è realmente pentita dell’atto commesso (Aleteia, 13 aprile 2015). Per un antico privilegio mai revocato possono assolvere dall’aborto anche i sacerdoti religiosi degli ordini mendicanti come domenicani, francescani, agostiniani e carmelitani.
IL CASO ECCEZIONALE DEL GIUBILEO
Nell’ambito del Giubileo Papa Francesco ha deciso di estendere a tutti i sacerdoti la possibilità di assolvere le donne pentite: una situazione del tutto eccezionale. «Non è un’attenuazione del senso di gravità del peccato – ha puntualizzato il direttore della Sala Stampa Vaticana Padre Federico Lombardi – I sacerdoti che preparano la confessione devono far capire la gravità di questo crimine e aiutare a comprendere in un percorso di conversione».
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