Sabato 19 maggio si terrà per l’ottava volta la Marcia per la Vita, sulle strade emblematiche dell’Urbe.
Roma, patria del diritto e della legge, ma anche capitale della cristianità, è il luogo più propizio per gridare ai 4 venti ciò che non è possibile accettare: l’aborto, l’eutanasia, il suicidio assistito e le altre manipolazioni genetiche, come le varie fecondazioni artificiali, con l’annesso utero in affitto e vendita del seme, dell’embrione, del bambino…
La vita umana innocente e pura come quella che vive nel ventre materno non può, non deve MAI essere sacrificata. Per nessun motivo al mondo: gravidanze non volute, infermità del nascituro, stupro, povertà, timori, comprensibili imbarazzi, giovanissima età della partoriente, etc.
Queste Marcie sono sorte un po’ ovunque nel mondo occidentale per contrastare le leggi anti vita e anti famiglia che nell’ultimo mezzo secolo sono state promulgate da moltissimi paesi.
In Italia, nel 1978 si ebbe la tristemente nota legge 194. Legge cattiva, nociva, mai troppo studiata, analizzata e criticata. Un sant’uomo, seppur particolare ed eccentrico, come Giorgio La Pira (1904-1977), sindaco di Firenze e terziario domenicano, la definì – mentre non era stata ancora definitivamente approvata – succintamente così: “Legge integralmente iniqua”.
Sull’Osservatore Romano, il quotidiano della Santa Sede, il politico cattolico scrisse queste meditate parole:
“Ecco perché il «no» tanto fermo – frontiera intransitabile per tutti gli uomini – all’aborto: perché l’aborto è, per definizione, atto estintivo della vita di una persona umana: è l’uccisione di un uomo.
Vi sono delle grandi carenze, dei grandi «vuoti», nelle strutture sociali e giuridiche non adeguate (come dovrebbero essere) alla tutela dei nascituri? Siano eliminate – con grande urgenza e determinazione – con provvedimenti legislativi adeguati: ma mai col togliere l’essere, la vita, al nascituro. Non uccidere: è, per tutti, l’intransitabile frontiera della autentica, unica, comune civiltà umana.
Per i credenti il comandamento di «non uccidere» si traduce con il principio universale delle «istituzioni divine» (IV, 4, 11) di Lattanzio: «Solum Dominus habet vitae et necis veram et perpetuam potestatem» (Solo Iddio ha la vera e perpetua potestà del diritto di vita e di morte).
E quanto all’aborto, vale sin dall’alba apostolica della Chiesa questo principio della Didaché; «tu non ucciderai con l’aborto il frutto del grembo e non farai perire il bimbo già nato». Atenagora dice che i cristiani considerano come omicide le donne che usano medicine per abortire; egli condanna gli assassini dei bimbi, anche quelli che vivono ancora nel grembo della madre, dove essi sono «già l’oggetto delle cure della provvidenza divina»; e Tertulliano (Ap. IX, 8) dice: «È un omicidio anticipato impedire di nascere: poco importa che si sopprima l’anima già nata», che la si faccia scomparire sul nascere: «è già un uomo colui che lo sarà» .
Questo principio – fondato sul comandamento divino «Tu non ucciderai» – la Chiesa lo ha sempre, con la medesima fermezza, affermato dall’alba apostolica sino agli ultimi Pontefici (Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, ed ora Paolo VI). Punto fermo, frontiera intransitabile, tutela e garanzia della vita e dell’essere per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i popoli.
Perché «no», sempre, fermamente, all’aborto? Per la stessa ragione per cui si dice, a tutela della vita (per tutti gli uomini), no all’uccisione dell’uomo”.
Fin qui un ispirato Giorgio La Pira, citato spesso per altro ma ignorato per questa sua ultima battaglia di civiltà.
Papa Francesco, durante il Regina Coeli di domenica 6 maggio, ha espresso un concetto analogo alla folla dei fedeli presenti in piazza san Pietro, parlando della cura per il prossimo insegnataci da Cristo. “E questo amore per gli altri non può essere riservato a momenti eccezionali, ma deve diventare la costante della nostra esistenza. Ecco perché siamo chiamati, per esempio, a custodire gli anziani come un tesoro prezioso e con amore, anche se creano problemi economici e disagi, ma dobbiamo custodirli. Ecco perché ai malati, anche se nell’ultimo stadio, dobbiamo dare tutta l’assistenza possibile. Ecco perché i nascituri vanno sempre accolti; ecco perché, in definitiva, la vita va sempre tutelata e amata dal concepimento al suo naturale tramonto”.
Naturale tramonto, sembra quasi poesia ma è semplicemente la realtà. Così come il concepimento stesso è qualcosa di naturale, di meraviglioso, di accertabile secondo i lumi della scienza: ma altresì qualcosa di ordinato, di voluto, di prestabilito da qualcuno, lo si chiami pure Madre Natura. E la natura va rispettata, sempre.
Negli ultimi decenni però, l’aborto è diventato, volens nolens, una sorta di micidiale testa d’ariete nel diritto, nei costumi e nella coscienza dei popoli. Se è giuridicamente lecito sopprimere il più innocente degli esseri umani, poiché così decide un adulto onnipotente, allora la vita è un valore negoziabile, come qualunque altra merce. L’aborto è l’acme della mercificazione totale e assoluta dell’umanità; è la vittoria più inattesa dell’idolatria mercatista e consumista; è la fine del senso religioso dei popoli cristiani. E’ la scomparsa, ci auguriamo provvisoria, della pietas verso l’altro, ancora sconosciuto, e dunque straniero e alieno, ma comunque vicinissimo ai già nati, specie ai genitori che lo hanno procreato, e a Dio che invisibilmente gli ha infuso un’anima immortale…
La Marcia italiana per la vita, presieduta da Virginia Coda Nunziante, quest’anno offrirà la testimonianza della madre di Vincent Lambert, da alcuni anni in coma e che alcuni giudici francesi vorrebbero smettere di alimentare, in nome della scienza e del progresso.
Molti vescovi e cardinali, pastori e prelati hanno sostenuto in questi anni la Marcia per la vita, la quale è però una manifestazione apartitica ed aperta a persone di ogni razza e cultura. Ma ciò che colpisce di più i presenti è la gioia che si legge ogni anno sui volti della gente comune che sfila in piazza. E’ una gioia che non cede alla tristezza dei raccapriccianti numeri delle vittime del genocidio silenzioso, come lo chiamò Giovanni Paolo II. Ma che con fierezza e slancio si vuole portatrice di una rivoluzione nelle coscienze e nelle anime che nessuna legge, nessun diktat, nessuna istanza politica del mondo potrà mai spegnere.
Fabrizio Cannone