Don Francesco Ametta, il giovane prete calciatore stupisce tutti sul rettangolo di gioco. Dopo la Messa domenicale segna subito il primo gol al debutto in squadra.
Una palla che rotola su un prato verde, ventidue uomini che se la contendono, un arbitro col fischietto, la folla degli spettatori che assiste e insieme partecipa, col suo tifo corale, alla grande liturgia calcistica. Anche gli elementi (apparentemente) di contorno sono sostanza nel gioco del pallone.
Certo: il calcio di oggi in gran parte è solo divismo e cinico business milionario. Eppure questo gioco sembra serbare ancora qualcosa di quella semplicità originaria capace di ispirare l’arte profonda di un Umberto Saba, il poeta triestino che cercava «l’infinito nell’umiltà», autore di cinque struggenti poesie sul calcio.
In tempi più recenti, il calcio ha fornito materiale per le raffinate meditazioni di un teologo come Joseph Ratzinger, il futuro papa Benedetto XVI che ai tempi in cui era arcivescovo di Monaco dedicò al calcio un intero discorso in occasione del Mondiale argentino del 1978.
Ma il calcio non ha invaso solo il terreno della poesia e quello della teologia. Anche la letteratura – e il cinema – ci hanno regalato momenti indimenticabili come la sfida tra la «Gagliarda» di don Camillo e la «Dynamos» di Peppone.
Sacerdote bomber debutta e va subito a segno
Il calcio coinvolge tanto, diceva Ratzinger, perché tocca corde profonde dell’animo umano. Non stupisce allora che la Chiesa, esperta in umanità, se ne interessi e talvolta sia anche protagonista in campo. Come nel caso di don Francesco Ametta, vice parroco di San Martino in Rio, paese della bassa reggiana.
Quando può, il giovane sacerdote (29 anni) alla domenica mattina celebra messa e al pomeriggio calza le scarpe coi tacchetti per scendere in campo con la Sammartinese, squadra locale che milita nel campionato di Promozione. E a quanto pare se la cava niente male sul rettangolo di gioco, visto che all’esordio nella Coppa Italia di categoria è andato pure a segno.
Prontamente ribattezzato «prete bomber», don Francesco racconta al Resto del Carlino di aver sempre giocato a calcio fin da ragazzino. Ha però dovuto appendere gli scarpini al chiodo nel 2019 dopo essere entrato in seminario. L’amore per il calcio però non è svanito. Ordinato sacerdote nel 2022 a Reggio Emilia, spiega di aver ripreso la sua antica passione una volta mandato a San Martino in Rio a fare il vice parroco.
Qui don Ametta ha ricominciato ad allenarsi con la Sammartinese per tenersi in forma. Un po’ a sorpresa, però, quest’anno la società ha deciso di tesserarlo. Il sacerdote, che ha subito bagnato il debutto con un gol, ha spiegato al cronista locale di essere stato accolto con grande rispetto dai compagni di squadra, senza con questo rinunciare al suo ruolo di sacerdote.
Si sa che spesso i calciatori hanno la parolaccia – per non dire la bestemmia – facile. «Quando scappa qualcosa sopra le righe, ovviamente li riprendo», fa presente il prete col vizio del gol. «Ma in generale – aggiunge – lo spogliatoio lo vivo molto bene, il calcio è una grande metafora della vita: il gruppo affronta le difficoltà come fa una comunità».
Bomber e calciatore, ma prima di tutto sacerdote
Naturalmente in campo non manca – siamo pur sempre in contesto agonistico – qualche simpatica punzecchiatura da parte degli avversari. «La battuta più ricorrente, magari per recriminare un fallo, è “Tu non puoi dire le bugie”… », spiega il giovane prete.
Il sacerdote non dimentica però qual è la con-vocazione più importante e ha ben chiaro l’ordine delle priorità: la Messa prima di tutto, poi il resto. «Il cuore della domenica – dice – è la celebrazione della Messa, quando riuscirò andrò anche a giocare». Parole sante, è il caso di dirlo.
Qualcuno potrebbe stupirsi che un prete sia così coinvolto su un rettangolo di gioco. Come spiega però Ratzinger, nella sua veste migliore il calcio può essere insieme scuola di vita e preparazione a quella che per un cristiano è la vita vera, quella dell’eternità. Senza dimenticare che Dio è sempre in agguato e anche le partite di pallone possono diventare occasione di conversione.
Quando il calcio è scuola di vita (eterna)
Come ha detto qualcuno, la gioia intensa che sperimentiamo durante il gioco ci fa anticipare, quaggiù sulla terra, qualcosa della gioia senza fine dell’eternità. Il gioco sospende il tempo ordinario e ci proietta in un universo di pace, gioia e liberazione. Per questo gli uomini non rinunciano a giocare anche quando sentono prossima l’ora della loro morte.
Il gioco del calcio, fa notare Ratzinger, è più che semplice divertimento (quella distrazione esistenziale di cui parlava Pascal). Unendoci in una comunità di destino, ci insegna a sperimentare una libertà nell’ordine fatta di regole comuni, di compagni e avversari da rispettare.
Il calcio ricorda agli uomini il destino comune che li unisce e l’importanza della disciplina. Al tempo stesso l’imponderabilità del risultato – mai pienamente sicuro – rende ragione a quanto diceva il vecchio Pindaro: gli sforzi umani sono sì necessari – vivere è anche battagliare – ma non decisivi perché alla fine dei conti la vittoria è un dono divino, non una conquista umana. La prima iniziativa, insomma, proviene dalla grazia.
Il calcio prepara alla vita terrena ma anche alla vita eterna. Questo sport rende visibile, afferma sempre Ratzinger, un principio evangelico: quello secondo cui «l’uomo non vive di solo pane, sì, il mondo materiale è solamente il livello preparatorio per il veramente umano, per il mondo della libertà».