L’ultimo prete cattolico che con coraggio ha deciso di restare in Afghanistan: l’appello accorato ma pieno di speranza tocca il cuore.
Padre Gianni Scalese si trova infatti all’interno del compound dell’ambasciata italiana nella capitale afghana, ormai caduta nelle mani dei Talebani. Ad ora, il religioso è l’unico prete cattolico italiano presente in Afghanistan, e le sue parole estremamente toccanti sono un invito alla preghiera per quanto sta succedendo nel Paese.
“Siamo ancora qui, la situazione non mi permette di rilasciare interviste. Ribadisco il mio appello a pregare”, ha affermato padre Gianni, barnabita che ha svolto una parte del suo ministero a Bologna, nel Collegio San Luigi e anche come parroco della parrocchia cittadina di San Paolo Maggiore.
A pubblicare il suo appello ci ha pensato il settimanale di informazione della Diocesi di Bologna “12porte”. “Padre Gianni si trova ancora a Kabul e ci ha chiesto di invitare alla preghiera. Data la situazione, si teme per il futuro di questa minuscola presenza cristiana”, spiega il giornale della diocesi guidata dal cardinale Matteo Zuppi.
“Il Cardinale Arcivescovo ha inviato con un messaggio a padre Scalese, la solidarietà e la vicinanza della diocesi di Bologna”. Il sacerdote giovedì compirà 66 anni, e la nomina a superiore della missione cattolica Missio sui Iuris dell’Afghanistan arrivò direttamente da Papa Francesco, nel novembre 2014. Nel gennaio 2015 si trovava già a Kabul.
La missione del sacerdote al momento è l’unica presenza ufficialmente cristiana del Paese e si trova all’interno del compound dell’ambasciata italiana. A frequentare la missione erano stranieri, funzionari diplomatici, militari e lavoratori civili, uomini e donne che in queste ore, mentre iniziano i rastrellamenti talebani casa per casa, stanno cercando di abbandonare l’Afghanistan per mettersi in salvo.
“La presenza del luogo di culto cattolico era tollerata nel Paese ma con la stretta proibizione di svolgere attività di evangelizzazione tra gli afghani. Due comunità di religiose fanno parte attualmente della piccola Chiesa cattolica afghana“, è quanto scrive il giornale diocesano.
Solamente lo scorso aprile, padre Scalese aveva spiegato che il ritiro dei militari Usa e della Nato deciso dal presidente Biden e avallato dai vertici dell’Alleanza Atlantica metteva a rischio la sicurezza del Paese. Di fatto, ad oggi emerge con chiarezza che il sacerdote aveva pienamente ragione, tanto che la sua si è mostrata una vera e propria profezia.
“Finora le trattative fra il governo e i talebani non sono mai partite o comunque non hanno portato ad alcun risultato. Il progetto era quello di formare un governo di transizione, di unità nazionale, per poi giungere a libere elezioni. Ma se le parti non si parlano, come si può formare insieme un governo? Molto più facile far parlare le armi”, spiegava il religioso.
Ora resta la speranza, che il sacerdote continua imperterrito a coltivare. “Anche se i talebani dovessero avere il sopravvento, perché meglio organizzati e finanziati, non credo che possano illudersi di restaurare l’Emirato islamico, come se questi vent’anni non fossero esistiti”.
Nel frattempo, arrivano gli appelli di solidarietà al sacerdote da parte del deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Doninzelli, che ha dedicato in tv “un pensiero per padre Gianni Scalese che è in questo momento a guida di una missione, l’unico di un drappello di cattolici che sta rimanendo a Kabul con grossi rischi”.
“Non è una scelta semplice, stanno scegliendo di rimanere a Kabul, una missione cattolica barnabita: credo che un pensiero nei loro confronti sia doveroso perché sicuramente, anche se non c’è spargimento di sangue, in queste ore cambierà la vita in Afghanistan e a questi cattolici italiani va il mio pensiero”, ha affermato il politico del partito guidato da Giorgia Meloni.
In tutto ciò, la Cei rilancia il suo allarme sulla situazione in Afghanistan, ricordando la sua “Angoscia per la gravissima crisi umanitaria” e il fatto che “come sempre avviene in queste situazioni, a pagare il prezzo più alto sono i più deboli: gli anziani, le donne e i bambini”.
Anche dalle terre afghane arrivano inoltre diversi appelli, come quello di Ali Ehsani, cristiano cattolico afghano che da giorni vive con l’angoscia di chi ha già conosciuto lo stesso terrore che ora attanaglia gli uomini e le donne del suo Paese. “Non abbandonate il popolo afgano”, afferma nelle sue parole riportate dal Sir, l’agenzia dei vescovi.
“In questi giorni sono in contatto con una delle tante famiglie cristiane presenti a Kabul. Vivono nascoste e nella paura. Ieri sera ho parlato di nuovo con una dei cinque figli. Piangeva, da giorni non cibo”. Il desiderio di Ali è di portare questa famiglia via dal Paese, e insieme a loro tutti i cristiani che rischiano la vita a causa della presa del potere da parte del regime talebano.
La paura è che nei giorni precedenti possa essere stato lui stesso ad avere involontariamente favorito il rapimento di suo papà. “Temo sia colpa mia perché nei giorni scorsi ho inviato loro la registrazione di una messa. Erano felici di poterla almeno ascoltare perché lì a Kabul non ci sono chiese. Forse qualcuno dei vicini potrebbe aver sentito e avvertito i talebani”, ha spiegato affranto.
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Anche per loro, per queste persone, che il gesto della missione barnabita di padre Gianni Scalese assume una valenza eroica, o meglio, evangelica. Una vera e propria testimonianza di amore cristiano, per i tanti fedeli stanchi e increduli e per il mondo intero, che supera ogni dolore e che mostra a tanti cosa significhi essere veramente figli di Cristo, senza mezze misure. Riecheggiano infatti le Parole di Gesù nel Vangelo: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando” (Gv 15, 13-14).
Giovanni Bernardi
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