Anche quando si parla (a sproposito) di omofobia e (altrettanto a sproposito) si accusa la Chiesa, la miglior risposta arriva sempre dall’amore di Gesù.
Conoscere il Vangelo e viverlo pienamente spariglia completamente le carte e permette di guardare alla realtà con un occhio diverso, più vicino al punto di vista di Dio.
Don Maurizio Patriciello è quanto di più lontano possa esistere dai ‘preti arcobaleno’, che minimizzano sulla pratica omosessuale e benedicono le coppie lgbt. Pur essendo un parroco di periferia, vicino ai più sfortunati e amatissimo dagli ‘ultimi’, don Maurizio non è riuscito ad evitarsi l’accusa di omofobia.
Propenso ai gesti forti e radicali, abituato a spiazzare e sorprendere l’interlocutore, il parroco di Caivano ha regalato ai suoi detrattori, una risposta epocale e commovente.
Ancora una volta, don Patriciello ha ribadito il suo pensiero sul ddl Zan, da lui ritenuto una “grande ingiustizia” di cui nemmeno un omosessuale “sarebbe contento”. In un post su Facebook, rivolto a ogni “fratello e sorella omosessuale”, il sacerdote si rivolge loro con il nome di “Gabriele, come l’angelo che portò l’annuncio della salvezza”.
Di persone con tendenza omosessuale, Don Maurizio ne ha conosciute tante nel suo lungo ministero sacerdotale. “Quando sei venuto a Messa, quando mi hai parlato dei tuoi problemi, quando mi hai aperto il cuore, mai – e dico mai – ho pensato al tuo orientamento sessuale”, ricorda il parroco di Caivano.
Di seguito, Patriciello fa notare l’estrema ambiguità dell’aggettivo “omofobo” e sottolinea: “Negli anni che verranno, questa parola rischia di essere sempre più ambigua e fare più male di una lama a doppio taglio”. Ammesso e non concesso che omofobia vada inteso come “paura del fratello omosessuale”, osserva don Maurizio, “non solo non sono omofobo, ma mi dico, senza ombra di dubbio, omo-filo. Perché ti voglio bene, voglio il tuo bene, ti auguro ogni bene; perché so che, come me, sei stato creato a immagine somiglianza di Dio”.
Il clima di questi giorni, però, prosegue il sacerdote, è pesantissimo e ricorda molto la “caccia all’untore di manzoniana memoria”. Se, in linea generale, una legge che punisce chi irride l’orientamento di qualcuno e ne minaccia l’incolumità “non può che trovarmi d’accordo”, rimane inamovibile l’ostacolo più grosso. “Potrò, in futuro, continuare a esprimere le mie idee, scrivere i miei articoli, fare le mie catechesi senza passare per omofobo ed essere trascinato in tribunale?”, si domanda don Maurizio.
C’è poi un’altra espressione più che mai equivoca. In nome dell’“identità di genere”, “in giro per il mondo già ci sono episodi imbarazzanti a riguardo”, rimarca il parroco di Caivano, ponendosi ulteriori dubbi. Quindi, cosa succederà? “Che un fratello trans che si sente donna può gareggiare, per esempio, nello sport, con le donne verso le quali avrebbe un vantaggio fin dall’inizio? O che un detenuto maschio affermando di sentirsi donna può essere recluso nel reparto femminile?”. La risposta etica di don Maurizio a tali interrogativi è implicita e contenuta nelle domande stesse.
Di seguito, il sacerdote affronta il nodo critico dell’utero in affitto. “Io non voglio, Gabriele – scrive don Patriciello – che ti venga negato nessun diritto, ma non voglio nemmeno che venga negato ai più piccoli che non hanno la possibilità di poterli fare valere”. Un figlio, aggiunge, è un “dono immenso, desiderarlo è comprensibile” ma “non è un diritto”. È invece diritto del bambino il poter “rimanere con la sua mamma”, perché “il bambino è una persona, un essere umano, non è una merce da comprare e nemmeno un dono da regalare”.
Persino quando l’affitto del proprio utero avviene consensualmente, “è proprio questo ‘contratto’ che mi spaventa”, afferma don Maurizio, perché la donna che lo fa è “quasi certamente povera” e a lei “viene chiesto di portare nella propria carne una gravidanza, con tutti i rischi di ordine fisici, psicologici, affettivi, e poi privarla del suo bambino”. E allora, ribadisce il sacerdote, “io vorrò continuare a lottare contro ogni abuso dei ricchi sulla pelle dei poveri; dei grandi sulla pelle dei piccoli; dei nati sulla pelle dei non ancora nati”.
“Io vorrò continuare – prosegue don Maurizio – a incontrare, discutere, litigare, scherzare con Gabriele, senza fargli pesare il mio essere prete, senza che mi faccia pesare il suo essere omosessuale”. E offendere un gay in quanto tale, è un “obbrobrio”, “mettere alla gogna un prete e calunniarlo come ‘omofobo’ per le sue idee, la sua fede, le sue convinzioni, è lo stesso obbrobrio, uguale e contrario. E spero che tu, Gabriele – conclude Patriciello – ti batterai perché questo scempio non abbia ad accadere mai. In caso contrario ci perderemo tutti”. [L.M.]
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