Oggi va di moda un’idea di sacerdozio minimalista, burocratizzato, più simile a un funzionariato del sacro che non al sacerdozio di Cristo.
Il sacerdote cristiano però è chiamato a un compito infinitamente più alto e nobile di quello che lo vede ridotto a burocrate impegnato a officiare riti esteriori e a dilungarsi in sermoni edificanti. Perché a questo punto tanto varrebbe affidarsi a una macchina. Come difatti già qualcuno sta pensando di fare.
È cosa nota che nelle confessioni nate dalla Riforma protestante e dunque dal ripudio di tutto l’apparato sacramentale della Chiesa Cattolica, a cominciare dal sacerdozio, la liturgia ha assunto sempre più le vesti di un Dienst, di un servizio religioso, con pastori sempre più simili a burocrati dello spirito – o a funzionari del sacro, se vogliamo. Con tutte le conseguenze del caso, prima fra tutte la separazione tra la funzione sacerdotale e la persona privata del sacerdote.
Al punto che, come è successo in Germania, i fedeli di una chiesa evangelica si sono visti catechizzare da quattro pastori-avatar che durante la funzione hanno letto loro un testo scritto da… ChatGpt, l’intelligenza artificiale che si candida seriamente al posto di idolo numero uno degli ultimi tempi.
Ne è uscito un sermone «solido ma senza cuore» ha detto qualche fedele. Non ne dubitiamo né ci stupiamo. In fondo una intelligenza artificiale non è fatta per “funzionare” alla perfezione? Dunque potrà assolvere anche la “funzione” sacerdotale, no? Pretendere però che una macchina ci metta anche il “cuore” appare però eccessivo. Più che altro dovrebbe far riflettere.
Contro il ritorno della gnosi, riscoprire la materialità del «fatto» cristiano
La domanda da farsi infatti è: ma è possibile separare a tal punto la persona del sacerdote dalla sua funzione? Che equivale a chiedersi: è possibile disincarnare il sacerdozio? Ha senso rivolgersi a un sacerdote anche solido di dottrina ma letteralmente senza cuore?
La netta sensazione è che si sia smarrito da un pezzo quel sano, paradossale «materialismo cristiano», come ha detto una volta Vittorio Messori, che ha sempre scandalizzato legioni di spiritualisti e di gnostici. Senza aver presente l’amore infinito del Creatore per la sua creazione, dunque per la materia stessa, non si capisce nulla nemmeno della venuta di Cristo in terra.
Già, perché in fondo si dimentica quanto ha tentato di dimostrare Fulton Sheen nella sua Vita di Cristo: il fatto che Cristo non è venuto sulla terra per vivere, ma per morire. Il Redentore venne a spargere il suo sangue per salvarci da quella che San Francesco nel Cantico delle Creature chiama la «seconda morte»: la morte eterna. Morire per redimerci: tale fu lo scopo della dimora del Salvatore quaggiù, questo il suo scopo sulla terra.
Cristo, vittima e sacerdote
In un altro libro straordinario dal titolo eloquente – Il sacerdote non si appartiene – il vescovo Sheen fa strame dell’idea, oggi tanto di moda anche tra i cattolici, secondo la quale il prete in fondo non sarebbe altro che un uomo come tutti gli altri. Un medioman che semplicemente fa un diverso mestiere: alla domenica celebra messa, compiendo strani riti sull’altare. Ma in fondo, si lascia intendere, anche questo è un lavoro come un altro: nulla di straordinario. Anche lui un semplice funzionario: assolve una funzione (in attesa che arrivi il ChatGpt di turno a surclassarlo).
Ecco, Fulton Sheen mostra al contrario la distanza abissale tra il sacerdozio veterotestamentario – ma anche quello delle antiche religioni pagane – e il sacerdozio cristiano. Il sacerdozio di Cristo fu qualcosa di molto diverso. Prima di Cristo sacrificatore e sacrificato, sacerdote e vittima erano separati e distinti. Cristo ha riunito in sé questi due ruoli.
I sacerdoti ebrei – ma un po’ tutti i sacerdoti – offrivano animali (vitelli, capre, pecore) come olocausti. Versavano il sangue delle bestie-vittime. Erano sacrifici vicari, dove cioè gli animali rappresentavano e sostituivano gli esseri umani colpevoli che, attraverso lo spargimento di sangue, cercavano di espiare i propri peccati.
Ostia, cioè vittima
Cristo, l’Agnello senza macchia, è al tempo stesso sacerdote e vittima. In lui la disgiunzione tra olocausto e sacerdote semplicemente non esiste. Non c’è separazione tra sacerdote e vittima. Capite? Non a caso «ostia» viene dal latino hostia, cioè vittima.
Il sacerdote cristiano non può essere un semplice funzionario, un “celebrante” che officia un rito in maniera asettica, coi guanti bianchi, senza sporcarsi troppo le mani col sangue del sacrificio.
Per questo, afferma Fulton Sheen, «l’eresia fondamentale della Riforma fu la separazione del sacrificio dal sacramento, o la trasformazione del sacrificio della Messa in «cerimonia della comunione», come se fosse possibile il dare la vita senza la morte». In questa separazione è già contenuta, in nuce, la consegna dell’altare del sacrificio – ridotto a mero simbolo, a pura astrazione – nelle mani di una macchina.
Il Cristianesimo è carne e sangue
Lo dice anche San Paolo: «Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1Cor 11, 26). Il Cristianesimo non è uno dei tanti «ismi» del mondo. Non è un’ideologia, non è un sistema di pensiero, non è un’astrazione. Il Cristianesimo è carne e sangue: è il corpo stesso di Cristo. È un fatto, un incontro con una Persona viva. Anzi, è un faccia a faccia, un corpo a corpo con la Fonte stessa della vita: il Principio e Fondamento di tutte le cose.
Altro che sacerdoti digitali! Il mistero inaudito che il sacerdote celebra durante la Messa lo coinvolge intimamente, in prima persona. Non può essere uno spettatore passivo: è un attore protagonista del sacrificio. Per questo Sheen, rivolgendosi idealmente a ogni prete, si chiede: «Nella Messa, noi offriamo il Cristo come Sacerdoti, ma ci offriamo con Lui come vittime?». Come non pensare a un padre Pio, esempio straordinario di sacerdote-vittima?
Perché in fondo nessuno di noi si appartiene veramente. Non solo il sacerdote. Lo ha notato anche Gustave Thibon: «Non possiamo essere egoisti, non possiamo essere che una preda. L’avaro è divorato dall’oro, il libertino dalla donna, il santo da Dio. Il problema non sta nel concedersi o nel rifiutarsi, ma nel sapere a chi ci si dona». Da qui la follia di ogni individualismo proprietario, l’illusione di credere che il corpo sia una proprietà privata sulla quale esercitare una signoria assoluta.
Il mondo si salva pagando i debiti degli altri
Parole che, certo, valgono per ogni cristiano, chiamato a seguire l’esempio del suo Signore: quel Gesù Cristo che, come ha detto don Divo Barsotti, «ha salvato il mondo facendosi servitore di tutti e solidale con gli uomini peccatori». È questo il duro servizio del cristiano, prosegue don Divo: «Si salva il mondo accettando per noi il castigo che dovrebbe cadere sugli altri».
Non stanchiamoci allora di ricordare e indicare ai nostri sacerdoti la grandezza della loro vocazione. Con l’esempio e le preghiere, prima che con le parole (mai con l’astio di chi si crede superiore, il marchio dell’antivangelo). E magari anche, perché no?, regalando loro il libro di Fulton Sheen. Si dice che il compianto Monsignor Luigi Negri lo consigliasse a sacerdoti e seminaristi come un vero e proprio manuale di santità sacerdotale.
Se togliamo il cuore al sacerdozio cosa resterà? Cervello e viscere, razionalismo e istintualità. Non a caso, i due idoli oggi più riveriti.