Si tratta di un lavoro certosino che richiede una grande passione. Ma ci sono delle mani esperte che lo eseguono con amore e grande attenzione con uno scopo ben preciso.
Un gruppo di suore benedettine è impegnato nel riparare gli abiti, per renderli reliquie.
La vita delle suore non è soltanto contemplativa o di preghiera. Ma è fatta anche di tanti piccoli gesti che ci aiutano a comprendere quanto sia grande e meraviglioso il mistero di Dio. Tanti sono coloro che, proprio per annunciare la parola di Dio nel mondo, siano essi uomini o donne, consacrati o laici, donano tutto se stessi e, in alcuni casi anche la loro vita.
Martiri silenziosi, che nessuno ricorda. Ma c’è invece un gruppo di suore che svolge un lavoro certosino e minuzioso. È una sorta di ringraziamento verso coloro che amano ed hanno amato Gesù nel corso della loro vita. “Toccare queste vesti, ripulirle, sistemarle significa per noi dire “grazie” a questi fratelli coraggiosi […] Un aiuto a immedesimarci nell’esperienza di chi, amato da Cristo” – spiega suor Maria Lucia, in un’intervista al quotidiano Avvenire.
Lei è una di queste suore che, in quest’ultimo periodo sta riparando e pulendo i vestiti di 19 missionari, morti a causa del Vangelo in diverse epoche in Cina, Birmania, Bangladesh e Filippine, e che sono i nuovi martiri della Chiesa.
Le suore benedettine dell’abbazia “Mater Ecclesiae” nell’isola di San Giulio sul lago d’Orta, in provincia di Novara, lavorano nel loro laboratorio tessile a quest’arte così intrinsa anche di preghiera. Suor Maria Lucia spiega come la preghiera si affianchi, anche, a questo tipo di lavoro: “La preghiera di una monaca di clausura, che ogni notte e più volte al giorno varca la soglia della cappella e si inginocchia davanti al tabernacolo che conserva la memoria viva di Cristo, porta con sé il ricordo dei missionari, soprattutto quelli che vivono le situazioni più a rischio”.
Ma perché recuperare proprio gli abiti dei nuovi martiri della Chiesa?
“Questi indumenti racchiudono un grande valore affettivo e storico, sono la memoria dei nostri confratelli che hanno pagato con la morte la loro fedeltà al Vangelo” – spiega la religiosa. E la richiesta è arrivata direttamente dal responsabile dell’Ufficio beni culturali del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) di cui questi monaci facevano parte.
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Un lavoro preciso che richiede pazienza e tempo, affinchè ci sia un recupero perfetto, che potrà permettere poi la conservazione delle vesti come delle reliquie: “Come prima cosa abbiamo inserito le vesti dei missionari nella tenda anossica, per procedere con il trattamento della disinfestazione che ha un percorso di tre settimane […] Provvediamo a una delicata e accurata pulitura con micro e macroaspirazione, seguita da un tamponamento o vaporizzazione o anche immersione. Si prosegue poi fissando e consolidando le parti tessili che si sono rotte, staccate, lacerate” – continua la religiosa.
Ma non solo abiti di martiri. Anche restauro di manufatti sacri, drappi storici…tutto ciò che, sia parrocchie, che cattedrali, ma anche enti privati, vogliono conservare e riportare all’antico splendore.
Mani esperte e sapienti, dono di Dio, per conservare ciò che Dio stesso ha donato agli uomini perché annunciassero al sua parola alle genti.
Fonte: avvenire
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