È in coma, nessuno si rendeva conto che era viva e riconosceva il marito. I medici stanno per staccare la spina ma succede qualcosa.
La storia che raccontiamo è quella di Angèle Lieby: una storia di speranza e di luce in fondo a un tunnel, in fondo all’impossibilità di esprimersi e di dire: ci sono anche io! Ecco che saranno la forza di una lacrima e l’amore di suo marito e di sua figlia che la aiuteranno.
Angèle è una donna felice e ottimista che da dieci anni lavora in una fabbrica e la sua vita procede tranquillamente.
Vive una vita normale: il lavoro, il fine settimana in montagna a correre, le pedalate in bicicletta, il nuoto… Tutto cambia quando inizia a sentire un fastidio alle dita poi un fortissimo mal di testa. Quel giorno l’emicrania era diventata sempre più forte. Si reca al pronto soccorso e dopo una gran quantità di analisi senza riscontro, i medici si rendono conto che Angèle non riusciva a respirare né a mangiare perché il cibo andava nella parte sbagliata della gola, così decisero deciso di metterla in coma farmacologico. Le diagnosticheranno solo in seguito la sindrome di Bickerstaff, una malattia neurologica molto rara in grado di scatenarsi dopo una comune infezione.
Il marito le diceva: “Non ti preoccupare è una piccola operazione, niente di importante”. Appena il tempo di veder chiudere le porte della sala operatoria, poi più niente. Angèle si sveglia nel vuoto più completo, ma per i medici non c’era più nessuna coscienza anche se lei stesse sentendo tutto! Nessuno si rendevano conto che fosse viva e che riconosceva la voce di suo marito. A volte aveva dei tremori: voleva parlare, reagire, ma non ci riusciva. Si sentiva come murata viva! Come un albero, che vive, cresce ma non può esprimersi.
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In quei momenti Angèle pregava e implorava Dio e i suoi cari defunti. Nel frattempo i medici, per vedere se reagisse, provavano a provocarle del dolore fisico, con punture molto dolorose, ma Angèle non poteva fare nulla e pensava che sarebbe morta se le avessero causato ancora quel dolore tre volte al giorno. Non riusciva in nessun modo a mandare segnali rispetto al dolore che provava.
In tutto questo c’era però l’amore di suo marito e l’amore di sua figlia che la facevano sentire viva, un elemento molto importante per una persona che è in coma, rivela Angèle in un’intervista, sentire l’amore dei suoi familiari e che loro desiderano il proprio ritorno.
Angèle avrebbe solo voluto dire: sono qua! Non lo vedete ma io ci sono!
Poi, quattro giorni dopo il suo arrivo in ospedale, era un venerdì, sentiva il medico che parlava con suo marito e con sua figlia. Stava dicendo che occorreva pensare a staccare la spina. Propongono al marito di fare tutte le procedure, perché anche se fosse sopravvissuta sarebbe stata come un vegetale e che non c’era più niente da fare. Solo il cuore funzionava ma tutto il resto era inattivo.
Era tutto finito. Il marito inizialmente si informa sulla procedura e si pensa al suo funerale: Angèle rivela di essere riuscita addirittura a vedere senza poter dire e fare nulla quella che, tra le varie scelte, avrebbe dovuto essere la sua futura bara! Tre giorni dopo, fortunatamente, suo marito dice al medico che non avrebbero mai staccato la spina di Angèle.
Nel frattempo Angèle cerca in tutti i modi di mandare un segno, e infatti ciò che riesce a fare è provocarsi una sorta di tachicardia, ma i medici non capiscono il suo segnale e pensano che Angèle stia peggiorando.
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Arriva poi l’anniversario di matrimonio di Angèle e suo marito. Quel giorno la figlia le parla dicendole di tornare in sé, perché se fosse rimasta incinta del suo terzo bambino, Angèle non avrebbe potuto vederlo! E così ad Angèle, profondamente toccata dalle parole della figlia, scende una lacrima: doveva farle capire che era là, che sarebbe voluta esserci.
I medici dicono che è impossibile che Angèle stia piangendo, sostengono che le lacrime sono causate da un gel che le hanno messo sul viso. Ma il pianto di Angèle è copioso e sua figlia capisce che sta realmente piangendo, che la sta sentendo. Dopo poco tempo Angèle si risveglia.
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Un risveglio duro, passerà molto tempo prima di riprendersi e dovrà reimparare a fare tutto. Oggi Angèle è, con la sua storia, portavoce di tutte quelle persone che, dal coma, non possono parlare ed esprimere il loro dolore. La sua storia è contenuta nel libro “Una lacrima mi ha salvato”, Edizioni San Paolo.
Quella lacrima l’ha davvero salvata: una lacrima d’amore, di dolore e di speranza.
La storia di Angèle Lieby ci fa capire come l’essere umano non smette mai, mai, di essere tale, anche se a volte ne viene svilita la dignità. La sua anima non smette mai di vivere, nemmeno quando sembra che non ci sia speranza. Va lasciata ardere una scintilla, perché la vita è un mistero che solo dallo sguardo di eternità e bellezza di Dio potremo minimamente comprendere e accogliere.
Elisa Pallotta
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