Diceva di osservare il reale oggettivamente, di contemplare la vita come azione verso uno scopo, e discernere tra giusto e sbagliato.
Ci sono giorni in cui ci svegliamo pieni di insicurezze, siamo convinti che ogni cosa che compiamo nell’arco di una giornata, sia essa un compito a scuola o un lavoro richiestoci, non sia alla nostra portata. Lo stesso accade con le relazioni, ci sentiamo inadatti a ricevere l’affetto e la considerazione delle persone amate, ci riteniamo non all’altezza di essere considerati di pari livello.
Come contraltare a questi giorni ce ne sono degli altri in cui ci sentiamo al di sopra di chiunque altro ci circondi, pensiamo che nessuno possa svolgere i compiti che facciamo allo stesso modo e pensiamo di essere sprecati per il lavoro che svolgiamo e poco apprezzati per quello che è il nostro livello, il che ci porta a desiderare un altro lavoro, altri amici, altri beni materiali e via dicendo.
L’insieme di queste giornate si sussegue in un ciclo ininterrotto che porta a chiedersi se, dato il costante scontento, non siamo adatti al mondo in cui viviamo. La risposta più semplice è quella di rispondersi di sì, di pensare che tutto ciò che abbiamo fatto è errato e che la realtà che ci siamo costruiti attorno non è quella ideale. Eppure, sebbene doveste seguire questa linea di pensiero, vi trovereste a vivere lo stesso senso di inadeguatezza in un altro luogo e attorniati da altre persone, poiché per citare un aforisma “Non si può sfuggire da sé stessi” e per citare Platone “L’uomo è come una botte bucata”, ovvero non ci sarà mai traguardo che lo soddisfi appieno.
Vi chiederete a questo punto se considero impossibile trovarsi a proprio agio nel mondo, se questa sensazione di inadeguatezza sia una croce che si deve portare nel corso della vita. In parte la risposta è affermativa, almeno fino a che non si raggiunge la consapevolezza che i possedimenti materiali sono effimeri, che la vita degli altri non è così bella come sembra all’esterno e che la nostra vita è un percorso imperfetto che porta ad un obiettivo comune.
Emblematica per capacità di accettazione del proprio posto nel mondo è la vita di San Bonaventura, un frate che riconobbe la superiorità intellettuale di San Tommaso d’Aquino e conobbe la ricchezza ed il potere di Luigi IX (Re di Francia) senza provare invidia. Un uomo, infine, che rifiutò la promozione ad Arcivescovo quando papa Gregorio gliela offrì.
Come faceva San Bonaventura ad accettare il suo posto nel mondo senza provare invidia o senso di frustrazione? Per capirlo basta leggere i suoi scritti, il frate si soffermava a guardare ciò che lo circondava con il dovuto distacco (in maniera analitica): “Nel primo modo di vedere l’osservatore considera le cose in sé”, scriveva infatti, aggiungendo come in questo modo si riuscisse ad apprezzare ciò che si aveva invece di desiderare quello che mancava. Il secondo passo era quello di non considerare mai la sua vita nel singolo momento o periodo, ma come il continuo di un percorso che si dipana dal passato fino al futuro.
Per fare ciò consigliava di avere riconoscenza e gratitudine per le cose passate e presenti e di preservare speranza verso il futuro. Infine consigliava di soffermarsi a contemplare le cose, così da essere in grado di discernere tra quelle cattive e quelle buone.
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Luca Scapatello
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