Il papato di San Celestino V è ricordato come uno dei più strani della cristianità, il cui gesto conclusivo anticipò quello compiuto da Ratzinger nel 2013.
Il nome di Celestino V era Pietro Angeleri, nato intorno al 1215 a Isernia, in provincia di Campobasso, da modesti contadini e penultimo di dodici figli. A vent’anni si fece benedettino a Faifoli, provincia di Benevento, ma dopo pochi anni lo lasciò per vivere da eremita in una grotta sul monte Palleno.
Dei discepoli incominciarono presto ad accorrere a lui, e con questi si stabilì sulla Maiella, attorno all’oratorio dello Spirito Santo. Nel 1264 costituì gli Eremiti di San Damiano, detti poi Celestini, con l’approvazione di Urbano IV. Questi vivono secondo la regola benedettina, ma interpretata con molta severità.
Pietro aveva però una grande attrattiva per la solitudine e si ritirò a vita eremita sulla Maiella, e lasciò ad altri la direzione di 36 monasteri popolati da circa 600 monaci e oblati per vivere nella sua cella fino a tredici mesi di seguito senza mai uscirne.
Il giorno della morte di Niccolò IV la Santa Sede rimase vacante per ventisette mesi, a causa del fatto che gli undici elettori erano divisi tra i due partiti dei Colonna e degli Orsini. Il re Carlo II di Napoli faceva di tutto affinché fosse scelto un cardinale di suo gradimento, e ad oggi l’elezione di Pietro da Morrone è passata alla storia come una delle più strane di cui si abbia memoria.
Il re di Napoli si era recato a Perugia nella primavera del 1294 per tentare di influenzare i cardinali radunati in conclave. Era passato anche a Sulmona, e lì concesse dei privilegi ai seguaci del Morrone, che a sua volta scrisse una lettera a un cardinale dove minacciava terribili castighi da parte di Dio se, entro quattro mesi, il sacro Collegio non avesse eletto il papa.
La fama dell’eremita era quella di un taumaturgo anche se però nessuno lo conosceva veramente di persona, né lo avevano mai visto. Ci si convinse però che fosse lui la persona più adatta a governare la Chiesa, e su proposta del cardinal Latino, colui che aveva ricevuto la sua lettera, gli diedero il voto.
Sulle montagne della Maiella arrivò una commissione di prelati e di notai per chiedere al Morrone se voleva accettare. Arrivati lì ci fu la sorpresa, perché trovarono un vecchio di oltre ottant’anni, pallido, emaciato dai digiuni, vestito di ruvido panno e calzato di pelli d’asino.
Alla comunicazione che fosse stato eletto Papa, lui accettò solamente per via della pressione dei confratelli. I cardinali lo invitarono a Perugia per sottrarlo alle suggestioni dell’Angioino, ma Pietro decise di fermarsi un po’ di tempo all’Aquila. Lì, sull’esempio di Cristo, entrò seduto su di un asino, scortato da Carlo II e da suo figlio che sorreggevano nientemeno che le briglie.
Ricevette in testa la tiara, già di Innocenzo III, e il nome di Celestino V, davanti la chiesa dì Santa Maria di Collemaggio che Pietro aveva fatto costruire. Le speranze in lui, però, si dileguarono presto. Pietro erano infatti ignorante di latino, di scienze teologiche e giuridiche, di esperienza politica e diplomatica.
Visto che non ascoltava nemmeno i consigli degli altri cardinali, ci mise pochissimo a rimanere vittima delle reti curiali che subito gli vennero tese. Dispensava favori spirituali senza discernimento, e lo faceva in particolare alle chiese del suo Ordine, fino a pensare di mutare in Celestini gli altri monaci e cercando di obbligare i benedettini di monte Cassino a indossare la tonaca grigia dei suoi religiosi.
Fece separare i Francescani Spirituali dagli altri concedendo loro il nome di “Poveri Eremiti”, e “nella sua pericolosa semplicità” concesse al re di Napoli il prelievo di due decime sui beni della Chiesa francese e inglese per finanziare le sue spedizioni militari. Nominò suo figlio Luigi, di ventun anni, all’arcivescovado di Lione.
Quando decise di abbandonare l’Aquila, invece di prendere la via di Roma andò a Napoli dal re, contro tutti i consigli dei cardinali. Nei cinque mesi del suo Pontificato i curiali approfittarono per trafficare e vendere grazie e privilegi, limitandosi a dire, in maniera del tutto furba, che il papa comandava “nella pienezza della sua semplicità”.
Ma a causa della sua incapacità amministrativa il disordine che s’infiltrava nella Chiesa era crescente, e i rimorsi di Celestino V crescevano. “Dio mio, mentre regno sulle anime, ecco che perdo la mia”, diceva. Una volta consultati i canonisti, tra cui Benedetto Gaetani, questi gli spiegarono che il papa poteva abdicare per sufficienti motivi.
Quando i napoletani cominciarono a realizzare che di lì a poco il Papa avrebbe rinunciato alla sua carica, invasero Castel Nuovo, ma Celestino V riuscì a placarli con vaghe promesse e con l’autorizzazione di fare preghiere e processioni per chiedere a Dio più luce.
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Così il giorno di Santa Lucia venne convocato il concistoro e Morrone con voce alta e ferma lesse la sua rinuncia libera e spontanea al potere delle somme chiavi “per causa di umiltà, di perfetta vita e preservazione di coscienza, per debolezza di salute e difetto di scienza, per ricuperare la pace e la consolazione dell’antico vivere”. Un gesto ce anticipò quindi, di diversi secoli, quanto si è verificato ben più recente, nel 2013, con la rinuncia al ruolo di Pontefice da parte di Joseph Ratzinger, l’attuale Papa emerito Benedetto XVI.
Giovanni Bernardi
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