San Gabriele dell’Addolorata è uno dei santi più popolari del mondo. Il suo santuario ai piedi del Gran Sasso d’Italia (Teramo) ogni anno è ambita meta di pellegrinaggio per milioni di devoti. Metà umbro per via del padre avvocato Sante Possenti e metà marchigiano per le origini della mamma Agnese Frisciotti, ogni abruzzese lo ritiene talmente tutto suo che farebbe a pezzettini chiunque osasse avanzare dei dubbi.
Nato ad Assisi il 1° marzo 1838, la sera stessa fu battezzato nella cattedrale di san Rufino che sette secoli prima aveva accolto l’illustre concittadino san Francesco. Era quasi inevitabile che ne ereditasse anche il nome. Gabriele infatti è il nome d’arte scelto al momento di farsi religioso, ma all’anagrafe è registrato Francesco Possenti, Checchino per familiari e amici.
Ben presto conosce l’asprezza del vivere perché a quattro anni è già orfano di madre. Nel frattempo il padre, integerrimo governatore dello stato pontificio, ha già lasciato Assisi e si è trasferito con tutta la patriarcale famiglia nella prestigiosa sede di Spoleto (Perugia) dove Gabriele trascorre l’infanzia e l’adolescenza fino a diciotto anni. Cresce volitivo e vivace scorrazzando con i fratelli per le ampie sale del palazzo finché non va a spiaccicarsi il nasino contro una porta.
Impara a pregare, ma non manca di dare anche qualche grattacapo al padre che a stento riesce a frenarne l’esuberanza. Si dimostra sensibile soprattutto con i poveri ai quali non esita ad allungare la merendina o l’intero marsupio scucito al padre. Primeggia a scuola per intelligenza, diventa leader di tutte le imprese goliardiche coinvolgendo negli scherzi anche i professori che nelle recite gli affidano sempre il ruolo del protagonista.
Frequenta salotti, teatro e jet set sempre attillato all’ultima moda. Viene soprannominato il ballerino o il damerino elegante. Però non scende mai a compromessi morali, non tollera intrallazzi o scostumatezze, di fronte alle avances di un balordo fa roteare per aria un coltellaccio a serramanico. Sotto l’elegante abbigliamento qualche volta cinge il cilicio, è capace di passare dal teatro alla chiesa.
Naturalmente anche per lui arriva il tempo delle mele. Bello e seducente, è tampinato soprattutto dalla figlia dell’avvocato Pennacchietti e Gabriele non pare insensibile alle sue attenzioni. Però ogni tanto si ritrova incasinato perché un campanello d’allarme gli ricorda che la vita non è tutta rose e fiori. Gli eventi stanno precipitando, sorella morte sta sgretolando la numerosa famiglia con ricorrenti lutti.
Gabriele sussulta e finisce quasi per smarrire le coordinate. Qui ci vuole un monitoraggio. Torna a mulinare con insistenza per la testa un vecchio progetto, quello di consacrarsi totalmente a Dio nella vita religiosa. Una promessa già fatta la prima volta a dodici anni nel delirio di un febbrone e rinnovata di fronte ad ogni pericolo, scongiurato il quale la routine aveva sempre ripreso il sopravvento.
A rompere gli indugi si incarica la Madonna stessa durante la processione della sacra icona per le vie di Spoleto. E’ il 22 agosto 1856 e Gabriele, in ginocchio tra la folla, avverte che l’immagine si anima, gli occhi della Madonna diventano lame scintillanti e una voce risuona chiarissima nel cuore: “Ancora non capisci che questa vita non è fatta per te? Segui la tua vocazione“. Colpo fatale che mette fine a tutti i tentennamenti. Superando inenarrabili difficoltà, quindici giorni dopo è già nel noviziato dei passionisti a Morrovalle, in provincia di Macerata. Nessuno riuscì a trattenerlo. E da quell’istante fu tutta una corsa, una volata da internauta verso la meta.
Ha diciotto anni e mezzo. La scelta della vita religiosa è radicale e irrevocabile. Bacia piangendo di commozione la nuova veste scura e ruvida, uno schiaffo al look del damerino che si pavoneggiava per le vie di Spoleto. Ha trovato finalmente la sua felicità. Ne informa ripetutamente i familiari: “La mia vita è una continua gioia; la contentezza che provo dentro queste sacre mura è quasi indicibile; le 24 ore della giornata mi sembrano 24 brevi istanti; davvero la mia vita è piena di gioia“. Il papa Giovanni Paolo II durante la sua visita al santuario nel 1985 confermò che “la gioia cristiana è la nota caratteristica di san Gabriele“.
Le tappe della santità senza gesta clamorose, con una vita semplice contrassegnata dall’eroicità nel quotidiano e struggente devozione alla Madonna Addolorata. Vuole strappare dal cuore ogni minuzia che non palpita esclusivamente per il Signore. Il suo direttore spirituale, il venerabile Norberto Cassinelli, potrà affermare: “Questo ragazzo ha lavorato con il cuore“.
Passa gli ultimi due anni e mezzo sempre ritirato nel conventino sperduto ai piedi del Gran Sasso tra ascensioni spirituali e lavorio interiore le cui profondità sono note unicamente a Dio. Solo qualche sortita all’aria aperta tanto per illudere i polmoni già minati dalla tubercolosi, il male sottile che presto lo condurrà alla tomba. Ma per lui è una festa e si lancia verso il rush finale invocando la Madonna: “Mamma mia, fa’ presto“.
Così la mattina del 27 febbraio 1862, al sorgere del sole, con il volto trasognato e gli occhi sfavillanti che trafiggono un punto fisso sulla parete sinistra, senza agonia sorride alla Madonna che viene a incontrarlo. Ha 24 anni, ancora studente in attesa dell’ordinazione sacerdotale. Ma ha già varcato la soglia per celebrare la messa perenne nel rutilante spettacolo dell’eternità in Dio.
La sua fama cominciò nel 1892 quando a trent’anni dalla morte si verificarono i primi strepitosi miracoli tra la gente accorsa in massa alla ricognizione delle spoglie. Beatificato da san Pio X nel 1908, fu proclamato santo da Benedetto XV nel 1920 alla presenza di oltre quaranta cardinali, trecento vescovi e un’incalcolabile moltitudine convenuta da ogni parte del mondo. Nel 1926 Pio XI lo dichiara compatrono della gioventù cattolica italiana e nel 1959 il beato Giovanni XXIII lo proclama patrono principale d’Abruzzo.
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