San Giovanni Maria Vianney fu definito il Curato D’ars. E’ ritenuto un santo sacerdote, un esempio per ogni consacrato.
San Giovanni Maria Vianney fu un esempio di tenacia, per chi si prefiggesse di raggiungere una meta che sembra lontana, ma soprattutto l’emblema della figura del sacerdote, dedito al Signore, paziente ed illuminante per le anime da condurre alla conversione.
Giovanni Maria Vianney (1786-1859, Francia) nacque in un periodo in cui l’istruzione dei ragazzi era meno considerata dell’arte rivoluzionaria, atta a sopraffare qualche popolo o qualche Credo.
Proveniente da una famiglia molto religiosa, che lo aveva avviato alla preghiera e alle opere di carità, pur essendo, essa stessa, nell’indigenza, ebbe molti problemi ad accedere agli studi, per diventare un sacerdote. Purtroppo, non aveva un metodo e, da adulto, gli risultò davvero difficile crearsene uno.
Ma mai desistette, lui che (come la madre gli aveva insegnato) sfamava il prossimo a pane e preghiere e, ad ogni rintocco dell’ora (indipendentemente da dove o da con chi si trovasse), si fermava, si faceva la croce e recitava un’Ave, o Maria. E lo fece per tutta la sua vita.
L’incontro con l’Abate Charles Balley, parroco di un paese vicino a Lione, fu determinante per Giovanni. Il parroco, infatti, lo incoraggiò e non lo perse d’occhio, fino a che non ebbe la meglio sulla sua incapacità di applicarsi nel latino, e non solo.
Non mancarono i momenti di sconforto, in cui avrebbe voluto tornarsene a casa e abbandonare la vocazione, proprio a causa della scarsità della sua istruzione.
Diceva di se stesso “Sono come gli zeri, valgo soltanto se vicino ad altre cifre”.
Per cercare di cambiare le cose, sperimentò e coinvolse l’intervento del cielo: fece il voto di andare a piedi al Santuario di La Louvesc (percorrendo circa 100 chilometri), presso la tomba di San Francesco Regis, il sacerdote Gesuita che aveva operato in quei luoghi.
Il viaggio/pellegrinaggio fu durissimo: scambiato per un vagabondo, fu anche minacciato e non trovava quasi mai chi gli desse un po’ di cibo, tanto che si nutrì dell’erba che trovava lungo la strada.
Arrivò alla meta sfinito e denutrito, ma giunse al Santuario, a 1.100 metri di altitudine, e, sulla tomba di san Francesco Regis, chiese la grazia di imparare! A 29 anni divenne sacerdote e fu inviato ad Ars, un piccolo villaggio di anime perse, quasi del tutto.
E fu proprio li che trovò la sua missione: convertire e cambiare il duro cuore di quella gente, abituata a bordelli e bestemmie; ad essere e a stare senza Dio.
Il Curato cominciò a catechizzare. Affiancò, dapprima, le persone più devote, le preparò per bene e, poi, fece in modo che anche gli altri le seguissero, partecipando attivamente ad ogni iniziativa del paese.
Da parte sua offriva a Dio tante preghiere e penitenza: dormiva al piano terra, nell’umidità, e senza materasso, in quanto lo aveva regalato ad un povero; mangiava spesso patate, anche se ammuffite, un uovo o della farina impastata con l’acqua.
Non ebbe mai cura di se stesso e della sua salute; mai aveva smesso di mangiare erba!
La sua devozione, il suo lavoro, erano totalizzanti e lo pervadevano a tal punto da trascurarsi. Ad Ars, lottò contro l’ignoranza e cristianizzò ogni aspetto del villaggio. Le persone che andavano a confessarsi divennero sempre più numerose; il malcostume lasciò spazio alle buone abitudini, al rispetto reciproco; le Messe divennero più frequentate, come i Sacramenti, la recita del Rosario, le processioni. Ed erano passati solo 5 anni dall’inizio del suo mandato.
Il Curato d’Ars amò ogni peccatore che incontrò, ma detestò il suo peccato e lo contrastò con tutte le forze, come nelle sfide continue col demonio, che mai lo lasciava in pace.
Riuscì anche ad aprire un orfanatrofio per ragazze. Quando il cibo scarseggiò, le sue preghiere riempirono il granaio; fece lo stesso anche in occasione di una carestia.
Il villaggio era completamente rinnovato spiritualmente e si ingrandì, poiché molte persone vi affluirono, mentre la sua fama di santità cominciò a varcare i confini, anche della Francia.
Quando morì, alle campane che ad Ars suonarono i rintocchi funebri, fecero eco quelle dei paesi vicini, per moltissimi chilometri.
Ti amo, o mio Dio, e il mio solo desiderio è di amarti fino all’ultimo respiro della mia vita.
Ti amo, o Dio infinitamente amabile, e preferisco morire amandoti piuttosto che vivere un solo istante senza amarti.
Ti amo, Signore, e l’unica grazia che ti chiedo è di amarti eternamente.
Mio Dio, se la mia lingua non può dirti ad ogni istante che ti amo, voglio che il mio cuore te lo ripeta tante volte, quante volte respiro.
Ti amo, o mio Divino Salvatore, perché sei stato crocifisso per me e mi tieni quaggiù crocifisso con te. Mio Dio, fammi la grazia di morire amandoti e sapendo che ti amo. Amen.
Antonella Sanicanti
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