Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842, Cuneo) fu Terziario Francescano, prima di divenire sacerdote e completare i suoi studi teologici e filosofici.
Sin da bambino, cercava di coinvolgere la famiglia nella preghiera, richiamandoli tutti, a fine giornata, per progettare la maniera in cui cercare di essere più caritatevoli, umili e obbedienti.
Nel Settembre del 1827, già canonico alla Basilica del “Corpus Domini” di Torino, in seguito ad un tragico evento, comprese quella che sarebbe stata la missione più importante della sua vita.
Accadde che una famiglia francese, genitori e 3 bambini, che viaggiava da Milano a Lione, dovette sostare proprio nei pressi della sua parrocchia, poiché la donna, incinta e malata di tubercolosi, si era sentita male.
Era stata respinta in ospedale, dal reparto dei tubercolotici perché incinta e da quello di maternità perché tubercolotica.
Purtroppo morì, insieme alla bambina che portava in grembo, tra le braccia del “canonico buono” –così in città era soprannominato il Cottolengo- accorso li per l’estrema unzione. Sconvolto per l’accaduto, al pensiero di quanti potessero aver bisogno di assistenza, cominciò a creare un luogo dove ospitare e curare coloro che, in gravi condizioni o contagiosi, poveri e soli o handicappati, venivano emarginati da tutti.
Era il 17 Gennaio del 1828 e il Cottolengo aveva a disposizione solo 4 letti per cominciare la sua opera di carità, fondando il primo nucleo di quella che sarebbe diventata poi la “Piccola Casa della Divina Provvidenza”.
E proprio alla Divina Provvidenza si affidava ogni giorno il santo sacerdote.
Cominciarono ad arrivare i primi sostegni, ma anche tante difficoltà e l’opposizione di coloro che rifiutavano di riconoscere il valore di quell’opera.
Riuscì ad acquistare una casa fuori Torino, a Valdocco (dove, qualche anno dopo, sarebbe cominciata anche la missione di San Giovanni Bosco), e continuò personalmente a ricevere i malati. Poco a poco, istituì le Suore Vincenzine (per la devozione a San Vincenzo De’ Paoli che stimava moltissimo); le Suore della Divina Pastora, che si occupavano della preparazione ai Sacramenti; le Suore Carmelitane Scalze, che si dedicavano alla contemplazione; le Suore del Suffragio per i lavori di cucito; le Suore Penitenti di Santa Taide, per la conversione delle donne più lontane dalla fede; le Suore della Pietà, che assistevano i morenti; i Fratelli di San Vincenzo; i Sacerdoti della Santissima Trinità; il reparto dei Tommasini, per i giovani seminaristi.
Mentre affidava i malati alle Suore, diceva: “Sono doni di Dio. Siano le vostre pietre preziose”. Non smise mai di donare tutto quanto fosse possibile, rimanendo umilmente aggrappato alla Provvidenza inesauribile.
Dio gli aveva concesso di conoscere le circostanze della propria morte, perciò, nel Febbraio del 1842, visitò tutte le case che aveva fondato, facendo intendere a tutti che quello era il suo ultimo saluto: “Pregate per me, che sono alla fine dei miei giorni. Vi benedico per l’ultima volta. Ora non posso più nulla per la Piccola Casa, ma giunto in cielo pregherò e continuerò ad essere il vostro padre e voi ricordate le parole che vi disse questo povero vecchio”.
Si recita usando la Corona del Rosario.
O Dio, vieni a salvarmi. Signore, vieni presto in mio aiuto. Gloria.
Sui grani, piccoli di recita: Vergine Maria, Madre di Gesù, fateci santi.
Sui grani grossi, si recita il Gloria.
Alla fine, si recita: Sia fatta, lodata ed in eterno esaltata la giustissima, altissima ed amabilissima volontà di Dio in tutte le cose. Salve Regina.
Antonella Sanicanti
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