San Guglielmo da Vercelli fu instancabile pellegrino dai piedi sempre consumati per i lunghi viaggi che intraprendeva, in colloquio costante con il Signore.
Nacque a a Vercelli nel 1085 da nobile famiglia e da monaco decise di recarsi in Palestina. Tuttavia, lungo il cammino si fermò in Irpinia dove fondò la Congregazione Benedettina di Montevergine. Ma Guglielmo sentiva forte in lui il bisogno di solitudine, e per questo nominò il suo successore nella Congregazione.
La abbandonò, infatti, per poi fondare altri monasteri, fra cui quello di San Salvatore. La sua opera però era a dir poco infaticabile, e lo portò ancora più lontano verso Rocca San Felice, Foggia e Troia. I suoi piedi erano infatti costantemente martoriati e in cammino. Andò a Santiago de Compostela e poi in Terra Santa.
Guglielmo era un adolescente di Vercelli e a quattordici anni la sua scelta era molto simile a quella che Francesco più di cento anni dopo compirà ad Assisi. Gli orpelli del suo casato gli stanno stretti e lui se ne libera radicalmente. Rinuncia al titolo nobiliare, indossa un saio grezzo e parte, calzando solo i suoi piedi nudi.
Per arrivare a Compostela ci impiega ben cinque anni di cammino. Un tempo in cui visse a pane e acqua, cilicio e notti per terra, ma in cui il suo colloquio intimo con Dio fu continuo e totalizzante, come era altrettanto ardente l’annuncio del Vangelo lungo la strada. Quando rientra in Italia, il suo obiettivo è partire per Gerusalemme.
Non aveva però fatto i conti con il Dio delle sorprese. Quando scende lungo l’Italia in cerca di una nave, infatti, un gruppo di delinquenti lo aggredisce, e quando si accorgono che su di lui non trovarono alcuna ricchezza passarono alla violenza. Guglielmo è costretto a interrompere il viaggio. Ma dietro a quell’aggressione Giovanni da Matera gli mostra che dietro quell’aggressione c’è il segno della sua missione, quella di apostolo in Italia.
Per questo partì per l’Irpinia, ai piedi del Monte Partenio, e da pellegrino si fa eremita. La sua fama di uomo di Dio, che vive nella solitudine, sorvola le montagne. Sempre più fedeli raggiungono giorno dopo giorno la celletta del monaco Guglielmo, a Montevergine. Fu così che l’eremo diventa abbazia.
La sua proposta era quella di un ideale ascetico, molto simile alla Regola benedettina. Nello specifico, però, Guglielmo faceva parte del movimento spirituale che cercava una Regola più pura e dava maggior spazio alla preghiera e alla contemplazione. Le regole scritte sono poche e dettate a voce. Ma principalmente mostrate con l’esempio: penitenza rigorosa, preghiera, esercizio della carità verso i poveri.
Nacque in quei giorni la Congregazione Verginiana, ufficialmente riconosciuta nel 1126. Ma il pellegrino si rimise in strada, girando dalle Puglie alla Sicilia, dove chiunque lo incontra ne resta affascinato. Furono molti i segni miracolosi, come quello del lupo che sbrana l’asino usato per il traino da Guglielmo e che il monaco “costringe” a trasformarsi in bestia da soma con perfetta mansuetudine.
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Donazioni continue e significative continuano ad arrivare all’abbazia di Montevergine, e tra gli amici di Guglielmo finisce per annoverarsi anche un re normanno. A lui si recherà per la sua ultima visita, prima che le forze lo abbandonarono in uno di suoi monasteri irpini, a Goleto, nel 1142. Ottocento anni prima che Pio XII lo proclamò Patrono Primario dell’Irpinia, nel 1942.
Giovanni Bernardi
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