Ha indubbiamente commosso il pubblico dell’Ariston e milioni di italiani ma la sua storia e il suo vissuto personale partono da molto lontano.
Stiamo parlando di Giovanni Allevi tornato a suonare proprio all’ultimo Sanremo, due anni dopo l’annuncio della sua malattia, che l’ha tenuto a lungo lontano dai palcoscenici.
Sono stati quattro anni difficili per il musicista marchigiano. Prima la pandemia, con i concerti vietati per almeno un anno. Poi, quando, lentamente la vita di sempre riprendeva, un nuovo duro colpo: la diagnosi di un mieloma e una malattia oggi ancora non terminata ma entrata in una fase nuova.
Giovanni Allevi ha percorso il suo personale calvario ma adesso è come se, in questa salita, avesse raggiunto la cima di una montagna così alta, in cui la fatica e la sofferenza fossero compensati da tanta aria pura e da un panorama mozzafiato.
Perdere tutto ma non il dono più importante
Mercoledì sera, all’Ariston, Allevi è tornato a suonare in pubblico il suo pianoforte e ha tirato fuori tutto il suo talento possibile e immaginabile. Tutti, però, ricorderanno soprattutto il suo breve discorso, che riassume il senso di una vita. Non ha parlato di Dio, Allevi ma le sue parole hanno avuto comunque una straordinaria valenza spirituale. “Non potendo più contare sul mio corpo, suono con l’anima“, ha detto il musicista.
“Ho perso molto: il mio lavoro, i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare. Era come se il dolore mi porgesse degli inaspettati doni“. E ha aggiunto: “Quando tutto crolla e resta in piedi solo l’essenziale, il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più. Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo“.
Parole che non hanno affatto meravigliato don Fabio Marella, cappellano all’ospedale Meyer di Firenze, dove Allevi è stato a lungo ricoverato. “Il maestro ha detto che questa prova che sta vivendo lo ha riportato all’essenziale della vita“, afferma don Marella. “Cioè a valorizzare aspetti cui normalmente non facciamo caso, a dare attenzione alle piccole cose che nella quotidianità tendiamo a dare per scontate: parlava della bellezza del creato, della differenza che ora vede tra il colore dell’alba e quello del tramonto. È una cosa che io ritrovo nei ragazzi che incontro: l’esperienza della malattia, quando crescono, dà loro una visione diversa della vita“.
L’amico sacerdote
“Credo che quella testimonianza di apprezzamento e valore delle cose semplici possa servire a tutti noi, a me per primo: per ridimensionare i problemi piccoli che tutti ci facciamo nella quotidianità e cui finiamo per dare più importanza di quanta meritino“, ha aggiunto il sacerdote, concludendo: “È un cambio di prospettiva di cui tutti avremmo bisogno. A chi come me ha fede, al confronto con tanta sofferenza, vedendo tanta abnegazione nelle persone che vi si impegnano, vien da pensare che il Signore metta accanto a chi soffre tanti angeli custodi. Altri avranno certo una visione più laica. Ma la testimonianza che abbiamo ascoltato è importante per tutti“.
Dire “no” al nichilismo
Non sono mancate, nel corso della sua trentennale carriera, dichiarazioni e interviste di Giovanni Allevi sul senso della propria vita e sulla propria fede “Sì, credo in Dio e penso che chiunque svolge una attività artistica o creativa non può non esserlo”, ha detto nel 2008 ad Avvenire. “Il musicista ha la possibilità di osservare la realtà e di svelare il mistero, di essere travolto da squarci di divino“.
“Io sono solo un compositore“, aggiunse Allevi in quell’occasione, “certe valutazioni le lascio ad altri, anche se trovo il cristianesimo assolutamente rivoluzionario per questa divinità che si è fatta uomo, che sentiamo così vicino. Nel mio piccolo sento di potere mettere la gente a contatto con le proprie emozioni più profonde, il che fa bene allo spirito“.
Più recente, all’inizio del 2021, poco prima della diagnosi della sua malattia, intervistato da Credere,
. “Ho paura di tutto“, disse allora. “Perfezionismo, inadeguatezza e senso di colpa sono i capisaldi della mia personalità“.
Un’anima vulnerabile, certamente, ma capace di svelare convinzioni assai solide oltre che coraggiose: “Il nichilismo e l’ateismo sono stati d’animo che ci stiamo lasciando alle spalle. Non sono neanche ragionevoli perché non sono rispettosi dell’immensità che anche solo un essere umano può rappresentare“, diceva allora Allevi che, con riferimento alle vicende della pandemia, osservava la possibilità “di un allargamento della mente: nuove passioni, nuovi orizzonti, una nuova consapevolezza“. Il musicista percepiva “l’imminenza dell’arrivo di una nuova era per le nostre vite, che porterà con sé un ritorno al sacro, una percezione diffusa del mistero: si tornerà allo sguardo incantato che solo i bambini hanno sul mondo“.
Scoprire la propria “scintilla divina”
Allevi raccontò anche di aver fatto amicizia, durante i suoi studi di filosofia, con un sacerdote, don Mauro, docente di teologia, “un parroco di periferia; pur essendo coltissimo, era vicino alla gente, ai ragazzi, e aveva trasformato la sua vita in una missione“. Pur non condividendo con lui la fede, il musicista, si legò molto al sacerdote: “Io mi avvicinavo all’ateismo, non credevo in niente, e nelle nostre discussioni sempre più frequenti, cercavo di metterlo in difficoltà con le parole, mentre lui, con pazienza e dolcezza, dimostrava una fede incrollabile“.
Quando poi don Mauro morì improvvisamente in un incidente stradale, per Allevi giunse un momento di “dolore vuoto, insopportabile“. Poi, l’improvvisa illuminazione: “Ho raccolto il suo testimone. Anche io avrei fatto della mia vita una missione, anche io avrei avuto fede in una scintilla divina che alloggia in fondo al cuore di ogni persona, anche io non avrei ceduto alla tentazione di una visione nichilista della vita“.
Allevi vede nel cristianesimo un messaggio “assolutamente dirompente“, in aperta contrapposizione con il nichilismo dominante “per cui il nostro valore e la nostra identità dipendono esclusivamente da un giudizio e un riscontro esterno“. Conseguenza: “un perenne senso di inadeguatezza, di esclusione dal mondo, di proiezione verso l’esterno nell’urgenza di dimostrare sempre di più. Il cristianesimo“, osserva Allevi, “propone una visione opposta e ci dice: io posseggo un’identità, un valore, una scintilla interiore, indipendentemente da qualunque riscontro esterno, indipendentemente dal mio aspetto, dai risultati che ho ottenuto, dai giudizi e dalla stima che ricevo“.