Leggiamo dai Sermones di Sant’Antonio di Padova (1195-1231, Lisbona): “Da tre cose procede la morte o la vita: il cuore, la lingua e la mano.
Nel cuore, è simboleggiato il consenso al bene o al male; nella lingua, il nostro esprimerci a parole; nella mano, il nostro agire. Quelli dunque che rinnegano Cristo, nelle tenebre del peccato, si pentano alla predicazione della Parola di Dio, affinché, nella luce della penitenza, possano confessarlo insieme con Pietro per tre volte: Amo, amo, amo! Amo con il cuore, per mezzo della fede e della devozione; amo con la lingua, affermando la verità ed edificando il prossimo; amo con la mano, per mezzo di un agire puro”.
Poche righe esprimono un cristianesimo fiero ed audace, che non scoraggiava i più lontani dalla fede, ma incitava teneramente alla virtù.
Le sue prediche difendevano il popolo, i miseri, dalla tirannia dei potenti e degli usurai; difendevano i deboli facilmente influenzabili dalle congregazioni eretiche del periodo.
Antonio fu uno dei più colti ecclesiastici d’Europa, nato col nome di Fernando, nella nobile famiglia dei Bouillon, studiò e divenne sacerdote, presso gli Agostiniani.
Nella Pentecoste del 1221, incontrò Francesco d’Assisi e, cambiando nome, aderì al suo progetto. Trovandosi a Forlì, durante un’ordinazione sacerdotale, iniziò a predicare, solo per obbedienza al suo Superiore.
In quell’istante, la sua capacità comunicativa si svelò a tutti come un talento, un’abilità, un mezzo, supportato da una profonda cultura, che avrebbe convertito molti.
Mentre a Bologna, con l’approvazione di Francesco, fondava una scuola di teologia, viaggiava in Francia e in Italia, nei covi degli eretici, albigesi e catari rispettivamente, predicando e ascoltando le confessioni di tutti.
Un contemporaneo disse di lui: “Predicando, insegnando, ascoltando le confessioni, gli succedeva spesso di arrivare al tramonto senz’aver nemmeno potuto prendere cibo”.
Antonio non si chiudeva nella pace della sua cella, né passava, come altri dotti, dalla biblioteca alla cattedra; non trascorreva il suo tempo con uomini illustri, ma aveva il culto della verità a qualunque costo.
Riuscì anche ad ottenere una riforma dello Statuto, in merito alle punizioni dei debitori insolventi, che, dopo aver ceduto tutti i loro beni, perlomeno non sarebbero stati incarcerati. Era, altresì, un forte sostenitore dell’Assunzione della Vergine al cielo e, quando, nel 1228, tenne le prediche della Quaresima, fu lo stesso Papa Gregorio IX, da cui aveva ricevuto un tale prestigioso incarico, a definirlo “Arca del Testamento”.
Si racconta che, in quell’occasione, gli ascoltatori provenissero da diversi luoghi e che ognuno lo sentì predicare nella propria lingua.
Era ancora giovanissimo quando, a causa di una grave forma di asma, fu costretto a ritirarsi in un eremo vicino Padova, in un luogo regalato ai Frati dal Conte Tiso.
Lo stesso Conte volle far costruire, su un albero, una piccola dimora per Antonio, che da li predicava alle folle che accorrevano. Li, Tiso, una sera, vide una gran luce: si trattava della visita di Gesù Bambino al Santo.
Morì a soli 36 anni, mentre, già da tempo, il popolo lo acclamava Santo.
Unico caso nella storia, venne canonizzato a soli 11 mesi dalla sua morte. Sant’Antonio di Padova è Patrono dei poveri e degli affamati.
Ammirabile Sant’Antonio, glorioso per fama di miracoli e per predilezione di Gesù, venuto in sembianze di bambino a riposare tra le tue braccia, ottienimi dalla sua bontà la grazie che desidero ardentemente nell’interno del mio cuore.
Tu, così pietoso verso i miseri peccatori, non badare ai miei demeriti, ma alla gloria di Dio, che sarà ancora una volta esaltata da te a e alla mia salvezza eterna, non disgiunta dalla richiesta che ora sollecito vivamente (…).
Della mia gratitudine, ti sia pegno la mia carità verso i bisognosi con i quali, per grazia di Gesù redentore e per la tua intercessione, mi sia dato entrare nel regno dei cieli. Amen.
Antonella Sanicanti
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