A Santa Giuseppina Bakhita (1869-1947, Sudan) quel nome, che vuol dire “fortunata”, glielo avevano dato i suoi carcerieri, coloro che la rapirono all’affetto della famiglia, quando aveva solo 7 anni, per venderla come schiava.
A Khartoum, subì delle violenze inaudite, per mano della famiglia del Generale turco che l’aveva comprata.
Soprattutto, il tatuaggio di una fattucchiera, eseguito con un rasoio, le lasciò delle ferite incancellabili. Le aveva fatto 6 incisioni sul petto, 60 sul ventre e 48 sul resto del corpo!
In ogni ferita, profonda un centimetro, aveva anche messo del sale, che contribuì a non far mai scomparite quei segni.
Santa Giuseppina Bakhita rischiò la morte
Rischiò di morire, ma, una volta fuori pericolo, venne rimessa in vendita. Per una serie di circostanze, nel 1882, venne comprata dal Console italiano in Sudan, Calisto Legnani, e, poi, affidata alla famiglia di Augusto Michieli, come tata della loro figlia.
La stessa famiglia Michieli, tornata in Italia, affidò, in seguito, Bakhita con la loro figlia all’Istituto dei Catecumeni Gestiti dalle Figlie della Carità (Canossiane) di Venezia, prima di espatriare nuovamente.
Fu allora che, un amico di famiglia molto devoto le regalò il suo primo crocifisso. La Santa dirà in seguito, ricordando quell’episodio: “Nel darmelo, lo baciò con devozione, poi mi spiegò che Gesù Cristo, Figlio di Dio, era morto per noi. Io non sapevo che cosa fosse, ma spinta da una forza misteriosa lo nascosi (…). Prima non avevo mai nascosto nulla, perché non ero attaccata a niente. Ricordo che nascostamente lo guardavo e sentivo una cosa in me che non sapevo spiegare”.
Così cominciò la sua vera vita nella fede e nella luce di Cristo, tanto che, il 9 Gennaio del 1890, si fece battezzare, col nome di Giuseppina, Margherita, Fortunata.
Aveva deciso di lasciare anche la famiglia Michieli, per seguire Cristo. Cercarono di trattenerla, ma senza esito. Giuseppina Bakhita era ormai libera, in uno Stato libero, mentre la sua vocazione maturava.
Fu il Cardinale di Venezia, Monsignor Sarto, ad esaminare la sua vocazione e a dirle: “Pronuncia i sacri voti senza timore: Gesù ti vuole bene. Gesù ti ama. Anche tu amalo e servilo sempre così”.
Santa Giuseppina Bakhita: la chiamavano affettuosamente “la Suora di cioccolato”
Dopo aver preso i voti ed aver adempiuto a tanti incarichi con totale obbedienza, nel 1935, iniziò la sua missione.
Nella seconda guerra mondiale, era a Schio, sotto i bombardamenti degli alleati, e, quando la città non ebbe alcun danno, molti associarono a lei questo prodigio. In quella città, rimase 45 anni, soprannominata “la Suora di cioccolato”.
Le torture subite quando era schiava, col passare del tempo, le portarono altre malattie: elefantiasi, artrite, asma bronchiale, broncopolmonite.
Fu ridotta a stare su una sedia a rotelle e così rimaneva per ore davanti al Tabernacolo, pregando ed offrendo le sue sofferenze per la Chiesa, per il Papa, per i peccatori. Morì l’8 Febbraio del 1947. Le sue ultime parole furono: “Me ne vado, adagio adagio, verso l’eternità … Me ne vado con due valigie: una, contiene i miei peccati, l’altra, ben più pesante, i meriti infiniti di Gesù Cristo”.
La ricordiamo l’8 Febbraio. Nella diocesi di Milano, si celebra, invece, il 9 Febbraio.
Papa Benedetto XVI, nell’Enciclica “Spe salvi”, parlò di Santa Giuseppina Bakhita, dicendo: “Mediante la conoscenza della speranza lei era “redenta”, non si sentiva più schiava, ma libera figlia di Dio”.
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Preghiera a Santa Giuseppina Bakhita
O Dio, Padre di Misericordia, che ci hai donato Giuseppina Bakhita quale sorella universale, evangelico modello di fede semplice e di operosa carità, dona anche a noi la volontà di credere e di amare, secondo il Vangelo, ed esaudisci le preghiere di chiunque invoca la sua intercessione. Per Cristo nostro Signore. Amen. Gloria.
Antonella Sanicanti
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