La Chiesa il 9 luglio, festeggia la memoria liturgica di Santa Veronica Giuliani, l’unica monaca cappuccina stigmatizzata.
Nonostante le straordinarie e molteplici esperienze mistiche, Santa Veronica è ancora poco conosciuta.
Cogliamo allora l’occasione per ripercorrere la sua vita e gli avvenimenti che la contrassegnarono in modo unico.
Questa straordinaria mistica è nata il 27 dicembre 1660 a Mercatello sul Metauro, nella diocesi di Urbino – Urbania – Sant’Angelo suffraganea dell’arcidiocesi di Pesaro. Figlia dal capitano Francesco e di Benedetta Mancini. La sua vita fu un susseguirsi di meraviglie e prodigi.
Fu battezzata con il nome di Orsola. A soli cinque mesi iniziò a camminare da sola per recarsi a venerare un quadro raffigurante la SS. Trinità. Ma è solo uno degli straordinari eventi che caratterizzarono la sua esistenza. Non aveva ancora sette mesi quando ammonì un negoziante poco onesto: “Fate la giustizia, che Dio vi vede”.
All’età di due o tre anni, cominciò a godere delle frequenti visioni di Gesù e Maria, che le sorridevano e rispondevano dalle immagini appese alle pareti di casa mentre Orsola esclamava: “Gesù bello! Gesù caro! Io ti voglio tanto bene”.
Durante la Messa, al momento dell’elevazione, nell’ostia vedeva quasi sempre Gesù che l’invitava a sé. “Oh, bello!… Oh, bello!…” gridava Orsola da piccola, e si slanciava verso l’altare. Quando il sacerdote portò il viatico a sua madre, Orsola vide l’ostia sfolgorante di luce. A mani giunte supplicò: “Date anche a me Gesù”.
Appena la mamma morente si comunicò, le si pose accanto, sul letto, esclamando:”Oh, che cosa bella avete voi avuto, mamma! Oh, che odore di Gesù!”.
Prima di morire la pia madre, chiamò le sue cinque figlie attorno a sé e a ciascuna assegnò una piaga del crocifisso come rifugio e oggetto particolare di devozione. A Orsola, che allora aveva soli sei anni, toccò quella del Sacro Cuore di Gesù.
Durante la sua fanciullezza, sentendo leggere la vita dei martiri, Orsola concepì il grande desiderio di patire per amore di Gesù. Una volta mise di proposito una manina nel fuoco di uno scaldino e se la scottò tutta senza versare lacrime.
Si disciplinava con una grossa corda; camminava sulle ginocchia; disegnava croci in terra con la lingua; stava lungamente a braccia aperte in forma di croce; si pungeva con gli spini. E ancora si costruiva croci sproporzionate alle sue spalle, bramosa di fare tutto quello che aveva fatto il Signore il quale, nella settimana santa, le si faceva vedere coperto di piaghe.
Per amor di Dio, Orsola aveva compassione dei poverelli ai quali donava generosamente quello di cui disponeva. Scriverà più tardi: “Mi pareva di vedere nostro Signore, quando vedevo essi”.
Col passare degli anni crebbe sempre di più in Orsola, la brama di ricevere la prima Comunione. Supplicava Maria Santissima: “Datemi cotesto vostro Figlio nel cuore! (…) io sento che non posso stare senza di Lui!”. Il suo desiderio fu soddisfatto e il 2 febbraio 1670 fece la sua prima Comunione a Piacenza, dove suo padre si era trasferito in qualità di Sopraintendente alle Finanze presso la corte del Duca Ranunzio II.
Gesù allora le disse: “Pensa a me solo! Tu sarai la mia sposa diletta!”. Ma non era facile lasciare il mondo. Orsola era molto corteggiata, la sua bellezza attirava le più vive simpatie di giovani distinti. Allora al babbo che l’adorava un giorno disse: “Come posso ubbidirvi, se il Signore mi vuole sua sposa? (…) Anch’Egli è mio padre, e Padre supremo. Non solo gli debbo ubbidire io, ma ancor voi”.
Ultimo attacco del demonio: agitazioni, turbamenti, ma lei sfidava ogni tempesta. Dopo aver mutato il nome di Orsola in Veronica, che profetizza la sua futura grande santità, il 28 ottobre 1677 riuscì a realizzare la chiamata del Signore ed entrò, diciassettenne, nel monastero delle Cappuccine di Città di Castello in provincia di Perugia.
Durante la cerimonia di vestizione, chiuse gli occhi per non vedere più nessuno in Chiesa ed essere tutta concentrata nel Signore, e non li aprì fin quando non mise piede nel monastero. Per Veronica si aprì la porta della clausura dove vivrà i suoi successivi eroici cinquanta anni.
Sono così tante, che è impossibile descrivere il cumulo di grazie, doni, privilegi, visioni, estasi, carismi singolari che Dio elargì incessantemente alla sua “diletta”. I fenomeni mistici che in lei si verificarono furono controllati a lungo e severamente dalle autorità competenti.
Dal 1695 al 27 febbraio 1727, nonostante la grandissima ripugnanza che provava, Santa Veronica scrisse in un Diario, senza rileggerle, le fasi e le esperienze della sua vita interiore per obbedienza al vescovo, Mons. Eustachi, e al confessore del monastero, il Padre Ubaldo Antonio Cappelletti, filippino. Riempì 21.000 pagine raccolte in 44 volumi, pubblicati dal 1895 al 1928 dal P. Luigi Pizzicarla SJ., con versioni in francese e spagnolo.
Dopo che Gesù elevò Suor Veronica al suo mistico sposalizio, fu soddisfatta nella sua ardente brama di patire per Lui. In modo misterioso, ma reale e visibile, sperimentò a uno a uno tutti i martiri e gli oltraggi della sua Passione. Di continuo esclamava: “Le croci e i patimenti son gioie e son contenti”.
Giunse a dire: “Né patire, né morire, per più patire”. Accoratamente diceva a Gesù: “Sitio! Sitio! Ho sete non di consolazioni, ma di amaritudine e di patimenti”. Si può dire che fin dall’infanzia pregasse: “Sposo mio, mio caro bene, crocifiggetemi con Voi! Fatemi sentire le pene e i dolori dei vostri santi piedi e delle vostre sante mani… Più non tardate! Passate da parte a parte questo mio cuore”.
Nel 1694 divenne maestra delle novizie e ricevette nel capo l’impressione delle spine. Dopo tre anni di digiuno a pane e acqua, il Venerdì Santo del 1697 le apparvero le stigmate e nel cuore ebbe impressi gli strumenti della Passione. “In un istante – scrisse Santa Veronica – vidi uscire dalle sue santissime piaghe cinque raggi splendenti.
Tutti vennero alla mia volta. E io vedevo i detti raggi divenire come piccole fiamme. In quattro vi erano i chiodi e in uno la lancia d’oro, ma tutta infuocata, e mi passò il cuore da banda a banda, e i chiodi passarono le mani e i piedi”. Per questo soffriva talmente, anche in modo visibile agli altri, che veniva chiamata la “Sposa del Crocifisso”.
Il vescovo di Città di Castello, al corrente dei fenomeni soprannaturali che avvenivano in suor Veronica, dopo un rapporto al Santo Ufficio, ricevette istruzioni che applicò con la più grande severità. Accompagnato da sacerdoti sperimentati, si recò nel monastero e si convinse della realtà delle stigmate. Alcuni medici ne curarono le ferite per sei mesi. Dopo ogni medicazione le mettevano guanti alle mani muniti di sigilli. Ma le ferite, invece di guarire, s’ingrandivano di più.
La badessa ricevette dal Vescovo ordini destinati a provare la pazienza, l’umiltà e l’obbedienza della santa nella maniera più sensibile. Le fu tolto l’ufficio di maestra delle novizie. Fu dichiarata scaduta dal diritto di voto attivo e passivo. Le fu proibita ogni relazione con le altre suore. Colpita da interdetto non fu più ammessa all’ufficio in coro né alla santa Messa.
E fu privata persino della Comunione e per cinquanta giorni fu chiusa in una cella simile ad una prigione. Insomma, di proposito, fu trattata come una folle, una simulatrice e una bugiarda. Il Vescovo al Santo Ufficio non poté fare altro che scrivere: “Veronica obbedisce ai miei ordini nella maniera più esatta e non mostra, riguardo a questi duri trattamenti, il più leggero segno di tristezza, ma al contrario, una tranquillità indescrivibile e un umore gioioso”.
A queste sofferenze univa di continuo indicibili penitenze, accesissime preghiere per la conversione dei peccatori. “M’ha costituita mediatrice fra Lui e i peccatori. Questo è il primo offizio che Iddio mi ha dato” scriveva suor Veronica. Continui suffragi offriva alle anime dei defunti. Confidò nel Diario: “Mi ha promesso Iddio la grazia di liberare quante anime voglio dal Purgatorio”.
Aveva continuamente presenti al suo spirito pure i bisogni di tutta la Chiesa e specialmente dei sacerdoti. Sottomessa sempre in vita ai superiori, la santa morì il 9 luglio 1727, dopo 33 giorni di malattia, appena il confessore, il Padre Guelfi, le disse: “Suor Veronica, se è volontà di Dio che l’ordine del suo ministro intervenga in quest’ora suprema, vi comando di rendere lo spirito”.
Quando morì era badessa da undici anni. Nel suo cuore verginale furono trovati scolpiti gli emblemi della passione così come li aveva descritti e persino disegnati per ordine del confessore.
Il suo corpo è venerato sotto l’altare maggiore della chiesa delle Cappuccine in Città di Castello. Pio VII la beatificò il 18 giugno 1804 e Gregorio XVI la canonizzò il 26 maggio 1839.
Simona Amabene
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