Sacerdote piemontese, San Giuseppe Cafasso era amico di San Giovanni Bosco. È chiamato il “prete della forca” per un motivo ben preciso.
San Giovanni Cafasso è tra i sacerdoti piemontesi che hanno illuminato la Torino ottocentesca in cui erano tante le problematiche di carattere sociale. Nacque nel 1811 a Castelnuovo d’Asti, lo stesso luogo in cui solo quattro anni più tardi sarebbe nato Don Bosco.
Era il terzo di quattro figli. La sorella più giovane, Marianna, sarà la mamma del beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata. Aveva un fisico gracile e una salute cagionevole, ma ando a Chieri a studiare filosofia e teologia. Avvertì la vocazione religiosa e a 22 anni fu ordinato sacerdote.
Entrò dunque al Convitto Ecclesiastico di S. Francesco d’Assisi a Torino e si specializzò nella formazione dei giovani sacerdoti. Voleva far risplendere il ministero sacerdotale nell’altissima dignità data da Gesù stesso a questo ruolo.
Giovanni Cafasso divenne in seguito anche il direttore spirituale di Don Bosco, che sottolineò come presso la sua guida “al Convitto si imparava ad essere preti“. Era in tutto un uomo di Dio fin dalle più piccole azioni quotidiane.
Il suo motto in ogni cosa che c’era da fare era di fare “quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime“. La sua forte fede era alimentata da una preghiera costante e duratura. Grande conoscitore ed esperto di teologia morale incarnava in pieno il ruolo del buon pastore.
Puntava all’impegno dovuto al sacerdote nella ricerca di un perfezionamento continuo. A questo proposito infatti soleva dire: “Grande vergogna per noi che un sacerdote si lasci anche solo eguagliare in virtù da un laico. Che onta per noi!“.
Gli fu di sostegno l’incontro con don Luigi Guala, teologo dalla spiritualità ignaziana. Papa Benedetto XVI in una catechesi su San Giuseppe Cafasso descrisse così la sua figura: “dalla sua cattedra di teologia morale educava a essere buoni confessori e direttori spirituali, preoccupati del vero bene spirituale della persona, animati da grande equilibrio nel far sentire la misericordia di Dio e, allo stesso tempo, un acuto e vivo senso del peccato“.
Non solo passava molto tempo al confessionale a perdonare i peccati, ma era vicino a chi scontava la pena per i reati commessi. La sua grande e profonda attenzione agli ultimi della società passava anche per il sostegno che dava ai carcerati.
Proprio per questo fu definito il “prete della forca“, dall’oggetto con cui i malfattori venivano crudelmente puniti. La forca era l’attrezzo per mezzo del quale si eseguivano le condanne a morte, in un’epoca in cui la pena di morte era ancora presente in Italia.
San Giovanni Cafasso accompagnava al patibolo coloro che sarebbero stati giustiziati e poco prima dell’esecuzione porgeva loro un croficisso affinché potessero baciarlo e pentirsi in quel momento se non lo avessero fatto prima. Ma se volevano li confessava e portava loro l’Eucarestia. Intendeva portare la via della salvezza in ogni circostanza.
Furono ben 57 i condannati a morte ai quali prestò assistenza durante la sua vita. Dopo una vita completamente dedicata al Signore e spesa nell’amore per il prossimo, Giuseppe Cafasso morì il 23 giugno 1860 a soli 49 anni.
Prima di morire volle le sue poche cose fossero donate a Don Bosco e ai ragazzi dell’Oratorio. Fu canonizzato nel 1947 e fu definito da Pio XI “uno dei nuovi astri della Chiesa“.
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