Abate fondatore dei monaci di Montevergine, San Guglielmo da Vercelli usava sistemi drastici per far fronte alle tentazioni del maligno.
Dal Nord a Sud San Guglielmo da Vercelli ha operato in modo capillare lasciando il segno e fondando diversi monasteri. Riprese la Regola benedettina impostando un movimento spirituale improntato ad un rigoroso ascetismo.
Di origini piemontesi San Guglielmo era nato a Vercelli, località che si ricorda con il suo nome, intorno al 1085 da una nobile famiglia. All’età di 14 anni fece qualcosa di simile a San Francesco d Assisi ovvero si spogliò di tutti i suoi beni, rinunciò al titolo nobiliare che portava e si mise ad indossare un grezzo e ruvido saio andando in giro a piedi nudi.
Nel 1099 intraprese un pellegrinaggio a Santiago de Compostela. Impiegò cinque anni di cammino facendo molta penitenza con digiuni a pane e acqua e portando il cilicio. Annunciava il Vangelo lungo la strada e intratteneva un intenso ed intimo colloquio interiore con il Signore.
Guglielmo dopo il pellegrinaggio a Santiago de Commpostela ne intraprese uno verso la Terra Santa. Giunto dalle parti di Brindisi fu vittima di una banda di delinquenti che lo aggredirono non avendo molto da rubargli. Mal messo è costretto a fermarsi in quella zona e lì incontrò San Giovanni da Matera. Diventarono amici e Guglielmo cambiò i suoi piani.
Scels di vivere in solitudine e abbracciò la via dell’eremitaggio ai piedi del Monte Partenio in Irpinia. Nonostante lui volesse una vita isolata, la fama lo raggiunse e presto giunsero altri che si stabilirono a vivere lì seguendo lo stesso stile spirituale.
Nacquero così i monaci di Montevergine, la Congregazine Verginiana, di cui è considerato il fondatore. Divenne abate e non dettò che poche regole scritte. La gran parte erano dette a voce e mostrate con l’esempio pratico.
Si basava su una rigorosa ascesi penitenziale, in cui c’era molto spazio per la preghiera e aveva un ruolo centrale l’ esercizio della carità verso i poveri. Ad un certo punto lascia la vita in monastero per spostarsi per l’Italia: andava dall’Irpinia al Sannio, dalla Lucania alle Puglie alla Sicilia.
Il suo fascino conquistava sia principi che poveri e sono numerosi i racconti di prodigi che si verificano con lui come intercessore. Tra i più celebri c’è quello di un lupo che sbrana l’asino usato per il traino da Guglielmo e che il monaco con la sua azione amorevole induce a trasformarsi in bestia mansueta.
Si parla di miracoli di muti che si misero a parlare, sordi che presero a sentire e ciechi che riacquistarono la vista. San Guglielmo subiva l’attacco di molte tentazioni e le vinceva con la forza della preghiera. Ma anche con metodi drastici: per vincere la tentazione carnale che metterva a rischio la sua castità una volta rotolò nudo sui carboni ardenti.
L’abbazia di Montevergine grazie alle continue donazioni continue che arrivavano da parte dei benefattori diventò molto prospera. San Guglielmo poteva contare sull’appoggio di figure influenti come il re normanno Ruggero II.
È proprio presso di lui che si recò nell’ultima parte della sua vita, quando era già stanco e malato. Poi, ritiratosi in uno dei suoi monasteri in Irpinia, a Goleto vicino Nusco, morì il 25 giugno 1142. La canonizzazione arrivò solo moltissimo tempo dopo. Trascorsi 800 anni dalla sua morte, nel 1942, fu proclamato Patrono Primario dell’Irpinia da papa Pio XII.
O glorioso S. Guglielmo,
tu che in vita santificasti Montevergine
con le tue virtù e coi miracoli che il Signore
operò per le tue mani, e, dopo morte,
rendesti prezioso il Santuario di Montevergine
col deposito del tuo sacro corpo:
ascolta pietoso le nostre preghiere
e rendici stabili e perseveranti
nella professione di una autentica vita cristiana.
Continua ad annunziare alle nostre menti
e ai nostri cuori il messaggio evangelico
con quella stessa prodigiosa efficacia che ti caratterizzò in vita,
affinché, divenuti ferventi apostoli della gloria del Signore
e del culto di Maria Vergine, possiamo un giorno, in cielo,
partecipare con te
il frutto maturo della nostra redenzione.
Amen.
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