La nostra vocazione più alta è quella di amare Dio e il prossimo ma c’è il rischio che il nostro amore sia ipocrita, come “una telenovela”. Così Francesco stamani all’udienza generale in Piazza San Pietro. Nella catechesi dedicata alla speranza cristiana, il Papa commenta la Lettera di San Paolo ai Romani, ricordando che la gioia della speranza consiste proprio nel sapere che anche nei nostri fallimenti, l’amore di Dio non viene meno. Il servizio di Debora Donnini:
L’ipocrisia può insinuarsi anche nel nostro modo di amare, quando ad esempio “i servizi caritativi” sono compiuti per sentirsi appagati o per mettersi in mostra, per fare sfoggio della propria intelligenza. “Quanti amori interessati ci sono”, nota Francesco nella catechesi. Per il Papa dietro questo atteggiamento c’è l’idea falsa che amiamo perché siamo buoni, cioè come se la carità fosse un prodotto del nostro cuore:
“La carità, invece, è anzitutto una grazia, un regalo; poter amare è un dono di Dio, e dobbiamo chiederlo. E Lui lo dà volentieri, se noi lo chiediamo. La carità è una grazia: non consiste nel far trasparire quello che noi siamo, ma quello che il Signore ci dona e che noi liberamente accogliamo; e non si può esprimere nell’incontro con gli altri se prima non è generata dall’incontro con il volto mite e misericordioso di Gesù”.
Chiedere a Dio la carità per i fratelli: l’amore è un dono non nasce da noi stessi
San Paolo invita quindi a riconoscersi peccatori ma offre anche un annuncio di speranza: abbiamo la possibilità di diventare strumenti della carità di Dio lasciandoci rinnovare il cuore da Cristo risorto:
“Il Signore risorto che vive tra noi, che vive con noi è capace di guarire il nostro cuore: lo fa, se noi lo chiediamo. È Lui che ci permette, pur nella nostra piccolezza e povertà, di sperimentare la compassione del Padre e di celebrare le meraviglie del suo amore. E si capisce allora che tutto quello che possiamo vivere e fare per i fratelli non è altro che la risposta a quello che Dio ha fatto e continua a fare per noi”.
E’ quindi Dio stesso che prendendo dimora nel nostro cuore, continua a servire chi incontriamo, specialmente i più bisognosi. Ed è una grazia quando facciamo esperienza di non vivere come dovremmo il comandamento dell’amore, perché questa esperienza ci fa comprendere che da noi stessi non siamo capaci di amare veramente ma abbiamo bisogno che il Signore rinnovi questo dono nel cuore.
La gioia della speranza è sapere che l’amore di Dio è più forte anche dei fallimenti
Allora torneremo ad apprezzare le piccole cose, e saremo capaci di amare gli altri come Dio li ama, cioè volendo il loro bene, che siano amici di Dio, “santi”. E quindi saremo contenti di “piegarci ai piedi dei fratelli”:
“Questo che l’Apostolo Paolo ci ha ricordato è il segreto per essere – uso le sue parole – è il segreto per essere ‘lieti nella speranza’: lieti nella speranza. La gioia della speranza, perché sappiamo che in ogni circostanza, anche la più avversa, e anche attraverso i nostri stessi fallimenti, l’amore di Dio non viene meno”.
Al termine dell’udienza nei saluti ai pellegrini di lingua araba, specialmente quelli provenienti da Siria, Libano e Medio Oriente, Francesco ha ricordato che “più grave dell’odio è l’amore vissuto con ipocrisia” perché è egoismo mascherato da amore. E ha concluso con un invito per la Quaresima: a digiunare “non solo dai pasti, ma soprattutto dalle cattive abitudini”.
Il commovente saluto alla famiglia cinese
Prima dell’inizio dell’udienza, al termine del giro in jeep per salutare i fedeli in Piazza San Pietro, i presenti hanno assistito ad un momento commovente: il Papa si è avvicinato ad una famiglia cinese, la madre piangeva mentre riceveva la benedizione di Francesco.
fonte: radiovaticana
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