Di fronte a “modelli di vita effimeri”, la povertà nella “carne” di un uomo, di una donna, di un bambino, “ci interpella”, ci provoca e ci coinvolge direttamente, spingendoci a “dare da mangiare agli affamati” e “da bere agli assetati”. Così il Papa all’udienza generale in Piazza San Pietro, esortando a scoprire il “volto di misericordia” di Cristo. Il servizio di Giada Aquilino:
Nella società “del cosiddetto benessere”, in cui le persone sono portate a “chiudersi”, ad essere “insensibili alle esigenze degli altri”, spinte da “modelli di vita effimeri” che scompaiono dopo qualche anno, come una “moda”, risuona forte il richiamo a dare da mangiare agli affamati e da bere agli assetati, perché in fondo oggi “ce ne sono tanti”. Ad un mese dalla conclusione del Giubileo della Misericordia, questa è la riflessione di Papa Francesco, che all’udienza generale ricorda le “popolazioni che soffrono la mancanza di cibo e di acqua, con gravi conseguenze specialmente per i bambini”, di cui sempre più spesso i media ci ripropongono le immagini:
“La povertà in astratto non ci interpella, ma ci fa pensare, ci fa lamentare; ma quando vediamo la povertà nella carne di un uomo, di una donna, di un bambino, questo sì che ci interpella!”.
Il Pontefice ricorda le “campagne di aiuto per stimolare la solidarietà” e le donazioni che servono a “contribuire ad alleviare la sofferenza di tanti”: è una forma di carità “importante”, ma – dice – forse “non ci coinvolge direttamente”. Invece è per strada o anche alla porta di casa nostra che possiamo incrociare chi ha bisogno, perché “veniamo coinvolti in prima persona”:
“E perciò, quell’abitudine che noi abbiamo di sfuggire ai bisognosi, di non avvicinarci a loro, truccando un po’ la realtà dei bisognosi con le abitudini alla moda per allontanarci da essa. Non c’è più alcuna distanza tra me e il povero quando lo incrocio”.
Siamo portati allora a girare lo sguardo e passare oltre o – si domanda il Papa – a fermarci e parlare con queste persone, nonostante qualcuno possa dire:
“Questo è pazzo a parlare con un povero!”.
L’esperienza della fame, costata il Pontefice, “è dura”:
“Ne sa qualcosa chi ha vissuto periodi di guerra o di carestia. Eppure questa esperienza si ripete ogni giorno e convive accanto all’abbondanza e allo spreco”.
Chi è “in necessità”, riflette, chiede “solo il necessario: qualcosa da mangiare e da bere”. Ricorda le parole dell’apostolo Giacomo e spiega che anche la fede, se non è seguita dalle opere, “in sé stessa è morta”, è incapace “di fare carità, di fare amore”:
“C’è sempre qualcuno che ha fame e sete e ha bisogno di me. Non posso delegare nessun altro. Questo povero ha bisogno di me, del mio aiuto, della mia parola, del mio impegno. Siamo tutti coinvolti in questo”.
Gesù, prosegue il Papa, ci assicura che “il poco che abbiamo”, se lo affidiamo alle sue mani e lo “condividiamo con fede”, diventa una “ricchezza sovrabbondante”. Cristo ci dice: “Io sono il pane della vita”, “Chi ha sete venga a me”:
“Sono per tutti noi credenti una provocazione queste parole, una provocazione a riconoscere che, attraverso il dare da mangiare agli affamati e il dare da bere agli assetati, passa il nostro rapporto con Dio, un Dio che ha rivelato in Gesù il suo volto di misericordia”.
Quindi, nei saluti finali, rivolgendosi ai pellegrini slovacchi, Francesco ricorda che domenica prossima si celebra la Giornata Missionaria Mondiale, “occasione preziosa per riflettere sull’urgenza dell’impegno missionario della Chiesa e di ciascun cristiano”:
“Anche noi siamo chiamati ad evangelizzare nell’ambiente in cui viviamo e lavoriamo”.
fonte: radiovaticana