Il popolo leva la sua voce e acclama Benedetto XVI «santo subito!». La Provvidenza farà il suo corso, ma le virtù del papa emerito parlano da sé.
In più di una occasione, nel corso della sua lunga vita, Joseph Ratzinger ha dato prova di vivere in prima persona le verità che da teologo ha approfondito in maniera stupefacente, da dottore della Chiesa dei tempi moderni.
Non è certo chi scrive il più titolato a riconoscere la grandezza teologica di Benedetto XVI, incontestabilmente uno dei grandi teologi del XX secolo, se non di tutta la storia della Chiesa, autore nella sua lunga vita di un’opera immensa che gli conferisce la caratura per poter essere un proclamato un giorno dottore della Chiesa.
Tra i tanti omaggi arrivati in questi giorni al papa emerito c’è anche la vox populi (dietro la quale bisogna sempre discernere se non vi sia anche la vox Dei… ) che si è levata prima durante l’udienza del mercoledì nell’Aula Paolo VI, poi anche oggi, durante le esequie funebri in Piazza San Pietro. In un caso come nell’altro, la folla gridava: «Santo subito!», come già era accaduto con Giovanni Paolo II.
Santo subito?
Forse è ancora prematuro parlare di fama di santità. In caso la strada di una rapida canonizzazione sarebbe anche più facilitata dal fatto che papa Francesco ha reso più breve il processo di canonizzazione per papa Giovanni XXIII, come aveva fatto lo stesso Benedetto XVI nei confronti di Giovanni Paolo II, la cui causa di beatificazione partì a distanza di poche settimane dalla morte nel 2005 per arrivare alla gloria degli altari già nel 2014, senza attendere gli anni previsti dal codice.
Com’è noto, la causa di canonizzazione per proclamare la santità di una persona viene istruita, dopo la sua morte, dalla Congregazione per le cause dei santi, appunto. Tutto inizia con una proposta di avvio del processo. Una richiesta che, se accettata dal vescovo della Chiesa locale dove il candidato ha vissuto e operato, fa partire il procedimento vero e proprio di canonizzazione dove il candidato deve passare più “tappe” (servo di Dio, venerabile e beato) prima di arrivare all’ultimo gradino: la santità.
Un teologo capace di inginocchiarsi
Come sempre, sarà la Provvidenza a dare forma ai suoi progetti. Di certo, se papa Francesco non ha mai parlato finora di una «fama di santità» di Benedetto XVI, non ha mai perso occasione di esaltare la sua figura di teologo e pastore che «non si è mai confinato in una cultura solo intellettualistica, disincarnata dalla storia degli uomini e del mondo».
Anzi, per Francesco «Benedetto XVI faceva teologia in ginocchio», testimonianza vivente di un uomo che si abbandona totalmente a Dio e si fa guidare dallo Spirito Santo. Benedetto XVI è stato il Papa che ha celebrato il matrimonio tra fede e ragione (nel discorso di Ratisbona). Dio è verità ma al tempo stesso Dio è carità, non un arido ragionatore (come una sorte di super calcolatore onnisciente). Dio è il “Logos”, senza dubbio. Ma è anche vero, ha detto Benedetto, che «il “Logos” non è solo una ragione matematica: il “Logos” ha un cuore, il “Logos” è anche amore».
Le virtù di di Joseph Ratzinger
Pochi come Benedetto hanno saputo testimoniare con la loro vita questa unione tra fede, ragione e carità. Come ha ricordato proprio in questi giorni Vittorio Messori, intervistatore e amico di papa Benedetto interpellato dalla Nuova Bussola Quotidiana, «non ho mai conosciuto un uomo così buono, così disponibile, così umile».
Un’altra grande caratteristica tipica dei santi è il senso dell’obbedienza. È noto come l’indole di Joseph Ratzinger fosse più quella di un uomo di studio e di cultura, dedito alla riflessione e alla meditazione, alla preghiera. Ma quando Giovanni Paolo II lo chiamò alla guida della Congregazione per la Dottrina della Fede, lui obbedì anche se con sofferenza. Come confiderà a Messori, «la cosa che più mi amareggia è dover controllare il lavoro dei miei colleghi, che si occupano di teologia. A me piaceva fare il professore, stare con gli studenti. Quando sono stato chiamato a Roma per fare questo lavoro l’ho accettato per obbedienza, ma per me è stata una sofferenza».
Obbediente alla chiamata di Dio
Anche il fratello Georg, anche lui sacerdote, nel libro-intervista con Michael Hesemann (“Mio fratello il Papa”) ha messo bene in luce come prima del Conclave che lo avrebbe letto papa Joseph Ratzinger stesse pensando a ben altri scenari (potremmo anche dire alla pensione) come scrivere libri, completare alcuni progetti iniziati e mai finiti. Ma anche in quel caso accolse la chiamata di Dio, accettando in spirito di serena obbedienza l’incarico di Successore di Pietro.
Così come aveva accettato, sempre per ubbidienza, di diventare Arcivescovo di Monaco. Lui, uomo di dialogo e non di potere, di obbedienza e non di dominio, fu chiamato a governare la Chiesa.
Umile e prudente davanti al proprio limite
Molto si è scritto – e si scriverà – sulla rinuncia al papato da parte di Benedetto XVI. Ma l’impressione – confermata anche dalla testimonianza fornita oggi da Luigi Accattoli durante la trasmissione di Tv200 che seguiva il funerale del papa emerito – è che papa Benedetto in questa circostanza abbia agito con un’altra virtù dei santi: l’umiltà, che consiste prima di tutto nel riconoscere e accettare serenamente i propri umanissimi limiti, unita alla «tranquillità di chi è consapevole che tutto è nelle mani di Gesù Cristo, l’unico Salvatore», dice sempre Messori.
Di più: la sensazione è che Benedetto abbia messo in pratica anche un’altra virtù: la prudenza che invita a soppesare bene le forze, a fare i conti con la realtà. Preferendo così fare un passo di lato ritirandosi nel «recinto di San Pietro» per lasciare spazio a un successore più energico e in forze, capace di tenere dritto il timone della Chiesa in un’epoca di acque tanto agitate.
Antonio Socci ha paragonato il gesto di Benedetto alla preghiera di intercessione di Mosè che sosteneva Giosuè in battaglia attraverso la preghiera, alzando le mani al cielo nella lotta contro Amalek che alla fine vedrà imporsi gli israeliti.
Un lavoro discreto, silenzioso e nascosto dunque. Del quale, ha detto papa Francesco parlando di Benedetto, «solo Dio conosce il valore e la forza della sua intercessione, dei suoi sacrifici offerti per il bene della Chiesa».