Un dramma tenuto nell’oscurità, esce tragicamente fuori adesso, e mostra uno spaccato sociale davvero sconvolgente tanto da sembrare surreale. Invece è purtroppo la realtà, verso cui non si può non provare dolore.
E soprattutto, è necessario unirsi pregare affinché certe tragedie, segno dell’iniquità dell’uomo, non si ripetano più.
Il servizio andato in onda sul programma di Italia Uno “Le Iene”, in cui si sono mostrate le ottanta baraccopoli abbandonate nella città di Messina, in Sicilia, tra degrado e sporcizia, fin dall’inizio secolo, dal terremoto del 1908. Diecimila persone vivono in queste condizioni, tra cui bambini, malati, madri incinte. Tra mura di cartone, muffa, spazzatura e resti di amianto.
Le terribile baraccopoli oggi in Italia
Per tutta la città sono fiorite baracche di lamiere e di mattoni, da gente che aveva bisogno di un tetto da mettere sopra la testa. Situazioni assurde, svuotate, distrutte, piene di spazzatura. Decine di famiglie che vivono in condizioni assolutamente indegne. Acqua che esce dal tetto e dai pavimenti, che rischiano di crollare da un momento all’altro.
Cittadini e imprese purtroppo vi buttano spazzatura abusiva, amianto e cose di questo tipo. Sono in sostanza diventate discariche. Con una puzza tremenda. Segni di incendi scoppiati qua e là.
Delle vere e proprie favelas abbandonate da tutto e tutti
Alcune sono luoghi abbandonati, mai puliti, piene di siringhe e sangue incrostato. Situazioni davvero desolanti, e tutti si chiedono cosa si aspetti a fare qualcosa. Gli scenari sono spettrali. Anni fa la baraccopoli messinese era finita persino in un articolo sul New York Times.
Alcune casette, in mezzo alle baracche, sono però pulitissime, tenute al meglio nonostante il luogo impervio. In molte baracche le famiglie sono in via di assegnazione. Ma il contesto è devastante, e ogni baracca sembra peggiore dell’altra. Detriti, spazzatura, amianto abbandonato che d’estate esala le polveri nocive alla salute.
Una situazione di degrado insostenibile
Dentro gli appartamenti tracce di muffa e di umidità, che incidono senza dubbio sulla salute. Si parla di sette anni di vita in meno per chi vive in questi luoghi. I vicoli che portano alle abitazioni sono impressionanti. Alcuni dei quali confinano, assurdamente, con l’ospedale.
“Mia madre mi diede un milione di lire per comprare i mattoni e costruire questa baracca”, racconta Sebastiano. “Ti ricordi quando l’acqua arrivava sotto la porta e di notte siamo usciti con i figli in braccio”, ribatte la moglie. In camera c’è un secchio che raccoglie l’acqua.
I racconti e le parole delle persone che ci vivono
Melo, invalido al cento per cento, davanti a Giulio Golia mostra il suo occhio di vetro togliendolo. “Io sono 46 anni che abito qua, dal ’75. Non ce la faccio più a restare, perché sono diventato un pazzo”. La moglie è allettata dalla mattina alla sera, sofferenze, tra lamenti e pianti.
“Di qua, con gli scalini non passa la carrozzella. Rendetevi conto? Come faccio. Sistemate anche noi! Anche in un buco, anche per lei stessa. Vede? Giorno e notte qui è sempre buio, completamente. Ci hanno preso per i fondelli”. Per passare da una casa all’altra, sono tutti cunicoli, come un labirinto.
Baracche negli anni proliferate ovunque
Negli anni le baracche sono proliferate ovunque. Nella più grande baraccopoli di Messina ci sono 420 nuclei abitativi. Ma nel centro della città ce ne sono molte altre, micro-baraccopoli nate addirittura attaccate a palazzi istituzionali, o in aree pregiate con vista sullo stretto.
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Ora i politici locali puntano ad abbatterli e piano piano sistemare tutti in appartamenti popolari. Dopo decenni di promesse sono infatti partite le assegnazioni delle nuove case. La nuova amministrazione vuole svuotare le baracche tutte insieme comprando case agli inquilini in giro per Messina.
La vita nuova di chi entra in una nuova casa
Qualcuno, con la nuova casa, vive una vita nuova. Ma è un caso su tanti altri che soffrono in maniera indicibile. “I figli non invitavano mai gli amici a casa, ci vergognavamo. Ora sono sempre sorridente”, racconta una mamma, la signora Debora, che ha avuto accesso a una nuova abitazione.
“Nel mondo occidentale non c’è un caso come quello di Messina, per trovare le favelas bisogna andare in Africa o in Sudamerica”, dice Marcello Scurria, presidente dell’Agenzia di risanamento di Messina. “C’è il più alto tasso di persone che vivono agli arresti domiciliari d’Europa”.
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La sofferenza di queste persone, forse, non può essere compresa a fondo finché veramente non si entra in empatia piena con loro, non ci si mette nei loro panni, non si vive la sofferenza con loro. O meglio, non lo si fa in Gesù, cominciando dalla preghiera al Signore per la loro situazione di vero e duro degrado, che ora pare migliorando pian piano, nonostante però la strada sia molto lunga.