La vicenda, che rischiava di rimanere occulta per sempre, è stata ricostruita grazie a un’attenta indagine.
L’inseminazione artificiale, salutata da molti come un progresso, continua a generare forti perplessità e anche episodi concreti ai confini dell’assurdo. Questo fatto aberrante, ne è l’ennesima conferma.
Troppe coincidenze sospette
Il ginecologo olandese Jos Beek è diventato padre di ben 41 figli in quindici anni (1975-1990). L’uomo non è un libertino impenitente ma, piuttosto, una persona che ha usato il suo ruolo di operatore sanitario per un peculiarissimo – ed eticamente sconveniente – esperimento. Feconda, a insapute delle madri, un gran numero di ovuli.
Il dottor Beek, scomparso nel 2019, utilizzava infatti il proprio liquido seminale per le inseminazioni artificiali riservate alle proprie pazienti. Le imbarazzanti operazioni avvenivano nell’ospedale Sint Elizabeth di Leiderdorp (oggi parte del complesso medico Alrijne Zorggroep), dove il ginecologo ha lavorato a lungo.
La “marachella” è rimasta occulta per una trentina d’anni, fino a quando, 21 persone adulte, di età compresa tra i 30 e i 45 anni, si sono presentate al medesimo ospedale con test del DNA, che individuavano il loro padre biologico proprio nel dottor Beek.
Il caso ha spinto l’istituto medico a convocare una commissione indipendente, presieduta dal professor Didi Braat, al fine di indagare sull’accaduto.
Le donne all’epoca sottoposte a trattamento da Beek avevano tutte chiesto di essere inseminate da un donatore anonimo. Non essendo riusciti a trovare traccia dei donatori, i ricercatori hanno iniziato a sospettare che l’unico responsabile potesse essere lo stesso Beek.
Altro indizio schiacciante: il ginecologo era portatore di una rara condizione ereditaria che può determinare malattie fatali nella discendenza: due dei bambini concepiti in provetta con lo sperma del dottor Beek sono infatti morti poco dopo la nascita. Alla fine dell’indagine, i figli naturali del bizzarro ginecologo olandese sono risultati essere 41.
Cosa dice la Chiesa a riguardo?
Quali motivi possano aver spinto il dottor Beek a compiere il gesto “seriale” di fecondare in provetta le sue pazienti, abusando così del proprio ruolo medico, rimarrà un mistero occultato nella psiche del defunto ginecologo.
Rimane un dato di fatto: la fecondazione artificiale (omologa o eterologa che sia) comporta una serie di rischi e conseguenze non intenzionali negative, che superano di gran lunga i benefici.
Sul piano etico, il magistero della Chiesa ha sempre deplorato questa pratica, in primo luogo perché “una procreazione veramente responsabile nei confronti del nascituro deve essere il frutto del matrimonio”, si legge nella Donum vitae, Istruzione sul rispetto della vita umana nella sua origine e sulla dignità della procreazione, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1987.
Da questo punto di vista, in modo particolare, “la fecondazione artificiale eterologa è contraria all’unità del matrimonio, alla dignità degli sposi, alla vocazione propria dei genitori e al diritto del figlio ad essere concepito e messo al mondo nel matrimonio e dal matrimonio”.
Inoltre, “la fecondazione artificiale eterologa lede i diritti del figlio, lo priva della relazione filiale con le sue origini parentali e può ostacolare la maturazione della sua identità personale”.
Nemmeno la fecondazione omologa, tuttavia, è eticamente ammissibile, poiché “perseguendo una procreazione che non è frutto di un atto specifico di unione coniugale”, separa la procreazione da una delle componenti fondamentali dell’atto coniugale, ovvero il “significato unitivo”, che affianca e completa il “significato procreativo”.
È ancora la Donum vitae ad affermare che “una fecondazione ottenuta fuori del corpo degli sposi rimane per ciò stesso privata dei significati e dei valori che si esprimono nel linguaggio del corpo e nell’unione delle persone umane”.
Gli stessi concetti sono ribaditi dal Catechismo della Chiesa Cattolica, che, con riguardo all’inseminazione e fecondazione artificiali omologhe, pur riconosciute come “forse, meno pregiudizievoli” rispetto alle eterologhe, “rimangono moralmente inaccettabili”, poiché, “dissociano l’atto sessuale dall’atto procreatore”.