L’incredibile vicenda che vede coinvolto l’ex allenatore del Napoli che si ritrova al centro di aspre polemiche per una semplice dichiarazione
In Inghilterra, le idee personali di un allenatore sull’identità di genere o sulla famiglia vengono prima della competenza tecnico-sportiva.
L’ennesima vittima della dittatura arcobaleno è Rino Gattuso, la cui trattativa con il Tottenham Hotspur è saltata, dopo la ‘rivolta di popolo’ scatenatasi sui social.
Sono stati i tifosi del Tottenham a bollare Gattuso come omofobo, quindi incompatibile con i principi non scritti del club britannico. La notizia del possibile approdo di “Ringhio” sulla pancina del Tottenham ha scatenato una valanga di hashtag ostili su Facebook e Twitter, da #NoToGattuso e #GattusoOut.
Tanto è bastato ai dirigenti del Tottenham per mandare a monte ogni possibile accordo con l’ex allenatore della Fiorentina. Il club londinese, infatti, è uno dei più attenti ai ‘diritti sociali’ e sul politicamente corretto non cede di un millimetro.
Tutto nasce da una serie di dichiarazioni, peraltro nemmeno troppo recenti. Tra cui quelle rilasciate nel 2013, quando Radio Radio, domandò a Gattuso la sua opinione riguardo al ruolo sempre più preponderante di Barbara Berlusconi nella dirigenza del Milan, a conseguente detrimento dell’allora amministratore delegato Adriano Galliani.
“Penso che per uno come Galliani bisogna avere maggior rispetto per tutto quello che ha fatto – fu la risposta di Gattuso –. Barbara Berlusconi? Io le donne nel calcio non le vedo molto bene, mi dispiace ma è così”. La prima accusa contro “Ringhio” è quindi di misoginia.
Alcuni anni prima, oltretutto, Gattuso aveva espresso la sua preferenza per la famiglia naturale –. “Le nozze tra gay non mi trovano d’accordo – aveva detto a Porta a Porta –. Mi scandalizzo perché credo nella famiglia fin da bambino: per me, il matrimonio è tra un uomo e una donna. Anche se siamo nel 2008 e ognuno può fare quello che vuole, questa roba mi sembra molto strana”.
Fecero discutere, poi, quanto detto sempre nel 2013, in occasione dei cori razzisti contro Kevin-Prince Boateng, in occasione di un’amichevole tra i rossoneri e la Pro Patria. “A Busto non sono razzisti – commentò allora Gattuso –. Quello che è successo è tutta colpa di un gruppetto di imbecilli. Negli stadi, in passato, quante volte abbiamo sentito dei buuu anche per giocatori che non erano di colore? È capitato pure a me se è per questo, ma non gli ho dato importanza. Boateng sicuramente l’ha vissuta come un’offesa alla sua persona ma io continuo a non vederlo come un discorso di razzismo”.
Sempre su Boateng, “Ringhio” rincarò la dose: “La metto sul ridere: magari era gente che gli invidia la Velina, la fidanzata [Melissa Satta, ndr]. Lo dimostra l’applauso del pubblico. In sottofondo gli applausi si sentivano nitidamente. Io continuo a pensare che l’Italia non sia un Paese razzista, in tutti gli stadi si fa buuu”.
Tre capi d’accusa diversi tra loro, lontani nel tempo, eppure imperdonabili. E se Gattuso, nel frattempo, avesse cambiato, si fosse scusato o avesse puntualizzato? Perfettamente inutile, lo stigma di misogino-omofobo-razzista è totale e irreversibile. Di fronte all’ira dei suoi tifosi, il presidente del Tottenham, Daniel Levy non ha potuto nulla. In quest’ottica, allora, piuttosto che un allenatore dalle ‘idee strane’, meglio – al momento – nessun allenatore.
Luca Marcolivio
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