Una dirigente scolastica di Nocera Inferiore rischia di finire nei guai. Per aver mostrato agli alunni una ciocca di capelli di Carlo Acutis e una foto del suo corpo.
Oggi non si fa una piega davanti alle peggiori nefandezze somministrate ai più piccoli ma il corpo di un ragazzo beatificato fa gridare allo scandalo. Ipocrisia? No, piuttosto coerenza coi valori (o, meglio, coi disvalori) di un mondo tornato pagano.
Si parla spesso – anche se meno di un tempo – di “segni dei tempi”. Ecco, un segno dei tempi mi sembra di vederlo in alcuni fatti capitati proprio in questi giorni. Il primo è quello, balzato anche agli onori delle cronache, della dirigente scolastica di Nocera Inferiore (provincia di Salerno) segnalata al provveditorato regionale da alcuni genitori che la accusano per aver “traumatizzato” i loro figli – in età da scuola elementare – mostrando loro una reliquia e una foto del corpo del Beato Carlo Acutis.
Il “fattaccio” sarebbe avvenuto il 9 febbraio scorso quando la dirigente, si legge nella segnalazione riportata dal Messaggero, «riuniva i bambini a turno ed esponeva, su apposito drappo religioso, una reliquia consistente in una ciocca di capelli del beato Acutis, facendo recitare ai bambini varie preghiere. Nello spiegare l’identità del beato, inoltre, la dirigente mostrava dal suo cellulare una foto della salma del ragazzo beatificato, provocando in molti di loro un notevole turbamento».
L’imperativo del mondo di oggi: sconfiggere la morte
Il secondo fatto è la “profezia” di Raymond Kurzweil, uno dei guru del transumanesimo, che proprio in questi giorni ha annunciato che nel giro di 7 anni genetica, nanotecnologia e robotica scriveranno la parola fine su realtà “antiquate” come l’invecchiamento e la malattia. In una parola, la scienza e la tecnica vinceranno la morte (che per i transumanisti è soltanto una malattia come un’altra, dalla quale in futuro potremo “guarire”).
C’è chi però ha più fretta ancora e si sta già portando avanti. Come il miliardario americano Bryan Johnson, 45 anni, che ogni anno investe la bella somma 2 milioni di dollari in un progetto di bio-hacking per farsi riportare all’età biologica di 18 anni.
Carlo Acutis, segno di contraddizione
Dunque possiamo ben capire che in un mondo di aspiranti immortali, dove conta soltanto allungare il più possibile la vita terrena e si annunciano elisir biotecnologici dell’immortalità, la testimonianza di un Carlo Acutis suoni davvero, per usare le parole di San Paolo, come «scandalo e follia». Come del resto appariva scandalosa la croce di Cristo ai primi cristiani.
In un modo dove bisogna solo conservare la vita fisica (Gustave Thibon in tempi non sospetti parlava di idolatria della vita) i più piccoli sono letteralmente rimpinzati di una «pedagogia della sterilizzazione», direbbe il demografo Roberto Volpi. Si crede cioè che sia bene evitare loro non solo ogni rischio, anche minimo, ma pure ogni accenno al fatto che questa vita, prima o poi, finirà.
La morte o è spettacolarizzata (nei film) o negata. Immersi in un digitale smaterializzato (che è quanto dire disincarnato), si vive come se non si dovesse mai morire. Non senza coerenza, alcuni genitori rifiutano di portare i figlioletti ai funerali dei nonni (la morte va nascosta ai loro sguardi). Vogliamo che non si turbino davanti al corpo senza vita di Carlo Acutis?
L’idealizzazione della giovinezza
Oggi, non a caso, è imperativo apparire sempre giovani. Nessuno ha fretta di invecchiare. Si vedono facilmente in giro quaranta-cinquanta-sessantenni con le sneakers ai piedi, braccialetti brasiliani al polso e fisici asciutti impegnati a gareggiare con i teenager a chi esibisce la forma fisica migliore.
Un contrasto pauroso con quanto avveniva fino alla fine degli anni ’60, dove nulla era più alieno dell’idealizzazione della giovinezza.
Nel libro Il mondo di ieri (1942) Stefan Zweig racconta come verso la fine del XIX secolo, nella Vienna imperiale, la giovinezza fosse guardata con un certo sospetto. Chi aveva un’aria troppo infantile rischiava di non trovare lavoro. Essere giovani era di ostacolo a qualsiasi carriera. I giovani che avevano ambizioni dovevano dimostrare più dei loro anni cominciando a invecchiarsi già dall’adolescenza. Come? Facendosi crescere la barba, portando occhiali con la montatura d’oro, indossando colletti inamidati e abiti rigidi, infilandosi in lunghe redingote nere. E se possibile mettevano su pancia, garanzia di serietà.
Inutile dire che oggi questo quadro si è completamente rovesciato. Carlo Acutis diventa perciò un vero scandalo perché con la sua sola presenza smentisce questo castello di menzogne. Un quindicenne che muore di una leucemia fulminante. Orrore degli orrori in un mondo ormai neopagano dove si fa a gara ad apparire giovani e a esorcizzare la morte.
Ecco cosa serve come il Pane (del cielo): i Santi
Mai come oggi appare dunque chiara la differenza tra eternità e immortalità, tra l’elisir di lunga vita e il mistero della Resurrezione, tra sopravvivere e vivere. Come scrive Fabrice Hadjadj «il mistero della Resurrezione, a dire il vero, si distingue nettamente dalla ricerca dell’immortalità. Un risorto non è un immortale, giusto al contrario, poiché per fare un buon risorto, bisogna innanzitutto essere un buon morto».
Dio è l’Eterno, non l’immortale o il perpetuo. Ci ha promesso la vita eterna. Che è un dono, non una conquista della scienza o della tecnica. Così come nessun Santo ha pensato a autoconservarsi. Non di rado i Santi muoiono giovani, consumati dallo zelo apostolico o da una vita di privazioni. Tutto fatto per amore. Il Santo pensa prima di tutto a donare ogni fibra del suo essere. Perché in lui vive la vita vera: quella di Cristo, il Risorto.
Il mondo ha bisogno dunque di Santi, di testimoni dell’eterno che non vengano a rassicurare il mondo, ma a levargli le sue false illusioni. Prima fra tutte quella di chiedere alle opere dell’uomo di mantenere le promesse di Dio.