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SCUOLA ITALIANA E ORA DI RELIGIONE

scuola italiana e ora di religione

Che succede nella scuola italiana, quale valenza potrebbe avere l’ora di religione oggi?

I media ci parlano di professori bullizzati o nelle vesti di improbabili seduttori di ragazzine quindicenni, di occupazioni continue, di spaccio di sostanze stupefacenti… In tutto questo, io vorrei invece soffermarmi sul ruolo dell’ora di religione a scuola, specie nelle superiori. La mia è un’opinione se vogliamo di parte, visto che insegno felicemente da 13 anni, attualmente in un liceo romano: sono docente di religione cattolica, quindi parlo di scuola sulla base di un’esperienza maturata sul campo.

Cominciamo dai dati statistici, che meglio di ogni altro elemento possono introdurre alla questione: nel giro di 20 anni (le statistiche vanno dalla metà degli anni ’90 al 2015) gli avvalentisi (si dice così) dell’ora di religione cattolica nelle scuole sono passati dal 93,5% all’87,9%. Le percentuali sono ovviamente più alte per i più piccoli (nella primaria siamo al 92,3%) e scendono con i ragazzi delle superiori all’80,7% (erano l’88,6% nel 1994). I numeri, seppure in calo, ci parlano comunque di un corso che ha ancora una forte presa su una fascia di età, quella degli adolescenti, che per motivi quasi biologici è la più refrattaria a qualsivoglia indicazione religiosa (e chi fra i lettori ha figli di quell’età capisce cosa voglio dire). I dati sono poi influenzati anche da altri aspetti demografici: nelle regioni del nord Italia, dove ad una maggiore secolarizzazione si aggiunge una più importante presenza di immigrati non cristiani, il dato è significativamente più basso rispetto alle regioni del sud Italia dove le percentuali di chi sceglie di non seguire il corso sono bassissime, mediamente attorno al 3%. Va inoltre ribadito che noi docenti di religione spesso e volentieri abbiamo come opzione alternativa al nostro insegnamento o l’ora di ingresso posticipata o l’uscita anticipata, vale a dire “argomenti” di facile presa su un pubblico che resta sempre e comunque di ragazzi. Si aggiunga che a volte, per mancanza di fondi e docenti, al posto del corso di materia alternativa c’è l’uscita libera… Insomma, nonostante tutte le difficoltà, a sorpresa i ragazzi italiani che scelgono di avvalersi dell’ora di religione restano comunque tanti: per fare un esempio, se è vero che più dell’80% degli adolescenti sceglie questo insegnamento molti di meno fra loro sono praticanti. Secondo le più recenti statistiche, solo un quarto dei giovani italiani sotto i 20 anni si definisce “cattolico praticante”, mentre un terzo si dichiara indifferente verso la religione. In breve, quelli che seguono l’insegnamento della religione cattolica sono molti di più rispetto ai “praticanti”, dato che può essere confermato da qualunque collega. In altre parole, il corso di religione resta l’ultimo palcoscenico da cui molti giovani sentono parlare di Dio, di Gesù, della Chiesa, del catechismo… La nostra responsabilità è quindi alta.

Molti si chiedono a che può servire: specie dai siti più laicisti (non ultimo quello dell’UAAR, associazione degli atei e agnostici italiani il cui presidente onorario è Sergio Staino, triste vignettista di Avvenire) partono periodicamente delle aggressive campagne contro l’istituzione stessa di questo corso, visto come il frutto di ingerenze vaticane nell’ordinamento statale. A parte il fatto che corsi di religione vengono offerti nei percorsi scolastici di tutta Europa (ad eccezione di Francia, Albania, rep. ceca), è indubitabile la centralità che una disciplina del genere può avere. Cominciamo dall’impatto culturale, quello più evidente. In tutte le discipline umanistiche sono continui i riferimenti alla religione: in storia, filosofia, nella letteratura italiana e in quelle straniere l’elemento religioso è centrale, imprescindibile. Mi è capitato di assistere a esami, interrogazioni, lezioni di colleghi: nelle materie umanistiche l’aspetto religioso è caratterizzante, fondamentale, decisivo. Diventa allora importante conoscere meglio il pilastro a cui si poggiano queste nostre radici culturali: si pensi alla storia dell’arte e all’influenza in essa del cristianesimo; al problema di Dio e alla questione del Bene nella filosofia; nonché al ruolo delle istituzioni religiose nella storia umana e delle tematiche religiose nella letteratura: Dante, Manzoni, Milton, sono l’inizio di un elenco di autori che sarebbe lunghissimo. Approfondire allora un testo come la Bibbia e i suoi contenuti diventa imprescindibile, e del resto qualche anno fa partì una petizione volta a farla adottare come libro di testo, firmata da numerosi intellettuali anche atei come Massimo Cacciari, Furio Colombo, Tullio De Mauro, Umberto Eco, Margherita Hack, Gad Lerner, Gianni Vattimo, Gustavo Zagrebelsky, Tullia Zevi. Tutti impazziti? Non credo. È evidente che se si studia la Divina Commedia, non si può ignorare quello che è IL testo per antonomasia della cultura occidentale. E a questo ci pensiamo noi docenti di religione cattolica.

Un altro aspetto, non meno importante, è quello valoriale ed esistenziale. L’essere umano è per definizione homo religiosus: arrivano dei momenti di passaggio in cui diventa naturale ed inevitabile porsi delle domande. La morte di una persona cara, una nascita, un abbandono, fanno nascere il bisogno di risposte che vanno oltre l’ordinario corso dell’esistenza, che aprono degli squarci verso una dimensione “altra”: domande a cui la cultura atea non è in grado di dare risposte o, se ne dà, non sono soddisfacenti (risposte che possiamo ridurre alla frase, a metà fra il filosofico e il linguaggio della strada, “il senso della vita… è la vita”). In una fase così delicata come l’adolescenza l’impatto di questo tipo di esperienze viene esasperato. I casi di “cattiva scuola” cui facevo brevemente cenno all’inizio a mio avviso sono legati alla “crisi di senso” della società attuale. Non voglio avventurarmi in questa sede ad analisi sociologiche del fenomeno, ma certo una rivoluzione culturale come quella del ’68, che ha messo in discussione l’idea stessa di autorità, non può non aver avuto effetti. Siamo in una fase di crisi conclamata del principio di autorità e di quella figura che l’incarnava (il padre), nonché di modificazione repentina del concetto di famiglia tradizionalmente intesa e di disfacimento nell’identificazione chiara e netta di valori che possano corrispondere al Bene, al Buono, al Giusto. Tutto questo ha avuto conseguenze pesanti nella scuola, vale a dire il luogo che avrebbe dovuto offrire ai ragazzi orientamenti certi proprio di questo tipo. Ma se è la società stessa a non avere più certezze, è ovvio che la scuola ne risente. E non è un caso se i “valori” oggi propugnati in ambito scolastico sono tutti con un’accezione negativa, sono dei “no” a qualcosa: no al bullismo, no all’omofobia, no al fascismo e via così…

Per quello che può valere la mia esperienza, anche se può sembrare strano, gli studenti manifestano un forte interesse per tematiche teologiche, meno per quelle morali. Vale a dire, vogliono capire il perché la fede cristiana fornisce determinate indicazioni più che conoscere le regole morali per sé stesse. In questo forse si supplisce a carenze strutturali di una società che, avendo perso ogni punto di riferimento oggettivo, ogni idea di bene assoluto, non riesce a colmare i bisogni che chiunque e specie gli adolescenti ha in sé. Quel che conta è allora offrire, annunciare la possibilità stessa di assoluto, ribadire che al centro della fede cristiana non ci sono gli ideali e il messaggio di una figura storica di indiscutibile fascino, ma che quel messaggio acquista rilevanza perché non è una parola umana, un’opinione bella e condivisibile, ma a pronunciarlo è stato il Figlio di Dio, seconda persona della Trinità, che nel difenderlo è giunto al punto di morire. Il percorso spirituale degli studenti non è pertinenza dell’insegnante di religione, ma già far acquisire il profondo rispetto della dimensione religiosa, farne cogliere ai ragazzi la centralità nella storia, nella cultura e soprattutto nel vissuto proprio e di tante altre persone sarà già aver gettato un seme. Questo avverrà anche e per certi aspetti soprattutto con l’esempio, l’empatia e la capacità di mettersi in discussione. Se poi quel seme darà frutto, saranno i ragazzi a deciderlo nel loro percorso che li porterà, prima o poi, a diventare persone adulte.

Alessandro Laudadio

 

Armando

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