A settembre, dopo la pausa del coronavirus, è in programma la riapertura della scuola italiana. Ma non pochi sono i problemi che si presentano all’orizzonte.
Pare infatti che, a causa degli spazi insufficienti, sono uno studente su cinque potrebbe ripresentarsi in classe. E questi nel caso in cui si riuscirà a trovare soluzioni valide. Tutti gli altri dovranno rimanere nella propria abitazione a seguire le varie lezioni ancora da remoto, nella modalità della didattica a distanza.
I sindaci sono molto preoccupati, e non stanno tanto a pensarci. Gli spazi sono insufficienti, e non ci sono alternative. Le scuole, viste le misure richieste anti-contagio, in particolare per quanto riguarda l’obbligo di rispettare le distanze di sicurezza, non potranno accogliere tutti gli studenti.
Gli spazi attuali “non sono sufficienti a garantire la didattica in presenza e al contempo assicurare il distanziamento sociale“, spiega sul Messaggero un’amministratrice di un municipio del Comune di Roma. Non è nemmeno possibile utilizzare scuole chiuse, perché sono già tutte state prese, e ovviamente il numero di posti che queste possono garantire è molto inferiore rispetto alle necessità.
Molto complicato quindi, sfruttare gli altri edifici. “Se non impossibile perché non si può prendere un palazzo o un appartamento e decidere da un giorno all’altro di crearci un istituto o una classe”, spiega l’amministratrice al quotidiano romano. “Ci sono delle norme da rispettare”.
La situazione attuale vede infatti, in proiezione, su 245 istituti superiori in totale, pochissime disponibilità ulteriori. E lo stesso vale per le scuole di altri ordini e gradi, tanto per le elementari quanto per le medie. Gli istituti comprensivi sono infatti al momento in situazione di grande precarietà, specialmente per ciò che riguarda la manutenzione straordinaria.
Molti problemi non sono stati risolti in questi ultimi anni, specialmente nelle periferie, dove le scuole chiedono molteplici interventi a fronte di una disponibilità economica di spesa pubblica che però non c’è. Da già ben prima dello scoppio del coronavirus.
Attualmente ogni singola amministrazione sta cercando di lavorare affinché il problema possa essere contenuto o in parte gestito. Ma le prospettive non sono molto incoraggianti: se gli spazi non ci sono, difficile inventarli. La precedenza, nell’emergenza, verrà data a studenti dei primi anni e con disabilità.
Soltanto a Roma, ad esempio, compreso il circondario, ci sono 1.827 edifici scolastici. Tra questi, 544 per l’infanzia, 697 per le elementari, 341 per le medie e 245 per gli istituti superiori, spiega Il Messaggero riportando i dati dell’Ufficio scolastico regionale. Questi comprendono 23.496 classi e 500 mila studenti totali.
Ma l’idea che tra questi, a settembre, solo uno studente su cinque potrà tornare in classe, è per molti particolarmente preoccupante. Ovvero 115 mila alunni iscritti al primo anno e 19 mila studenti disabili. Gli altri saranno ancora costretti a portare avanti i loro studi dalla cameretta, modello universitario non frequentante. Senza nemmeno aule pubbliche a disposizione.
Il problema infatti non riguarderà soltanto le aule, ma anche l’utilizzo dei mezzi del trasporto pubblico locale, utilizzati da un decimo degli studenti totali. Metro, autobus e tram, tutti in difficoltà per garantire l’obbligo di distanza per evitare gli assembramenti.
La stessa difficoltà vale per il trasporto scolastico. “Per garantire il distanziamento tra i bambini si dovrà ragionare su altre regole. Se oggi il Regolamento non consente di attivare una linea di trasporto scolastico riservato se i bambini sono meno di 15, molto probabilmente dovremo acconsentirlo”, spiega il direttore del dipartimento Servizi educativi di Roma Capitale Luisa Massimiani.
Per fare ciò, c’è bisogno di nuovi mezzi e conducenti, e quindi ulteriori fondi pubblici di cui però le amministrazioni comunali difficilmente dispongono.
Giovanni Bernardi
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