Capita a molti di indossare delle maschere, ritenute utili a farci apprezzare dagli altri. In questo modo, però, corriamo il rischio di snaturarci, senza ottenere ciò che desideriamo: cioè che le persone a cui teniamo possano ricambiare genuinamente il nostro affetto.
Ognuno ha bisogno di essere amato, ma di esserlo per ciò che è, in maniera autentica e incondizionata. Quanto invece dipendiamo da ciò che pensano gli altri di noi?
Questo fenomeno, in termini analoghi, è detto “rispetto umano”, e si tratta di una terminologia che, nell’ambito della fede, descrive proprio ciò che subentra quando si dipende da quello che pensano gli altri di noi.
Santa Caterina da Siena (1347-1380), in una sua lettera ai sacerdoti Giovanni Sabbatini e don Taddeo dei Malavolti, affermava: “Nel nome di Gesù Cristo Crocifisso e della dolce Maria. Carissimi figli in Cristo Gesù. Io, Caterina, serva dei servi di Gesù Cristo, vi scrivo nel suo sangue prezioso, desiderosa di vedervi cavalieri forti, senza nessun rispetto umano.
Così vuole il nostro dolce Redentore, vuole cioè che noi temiamo di disobbedire a Lui e non agli uomini del mondo; come egli disse: ‘Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo; temete, piuttosto, di disobbedire a me, perché l’anima e il corpo vostro non cada nell’inferno’”.
L’antidoto più immediato a questo atteggiamento della mente è proprio il considerare come Dio ci chieda di piacere a Lui e non agli altri: per quanto potremo amare ed essere amati, niente ci darà la gioia di una comunione piena con Dio, e la consapevolezza del suo di amore.
Questo atteggiamento, che al giorno d’oggi viene inquadrato in un contesto psicologico di affettività e emotività in qualche modo assoggettate all’altro, può avere radici profonde anche dal punto di vista spirituale: le ferite che ci sono state causate sono spesso motivo di debolezza anche nel cammino di fede.
È indubbio che una tale condizione di subordinazione alle opinioni altrui su di sé denoti uno stato di profonda sofferenza; tuttavia questo atteggiamento interiore non va assecondato, invece va combattuto alla luce di un percorso interiore e di fede.
Essere impegnati, ad esempio, sul piano umano e sociale, sentirsi utili e riusciti (essere attivi in parrocchia, fare volontariato, essere padroni di sé…), sono tutti esempi di elementi che possono portare a non necessitare più di quell’”iniezione di autostima” che spesso necessitiamo dagli altri.
In questo Gesù ci dice chiaramente: “Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro, perché questa è la legge ed i profeti” (Mt 7,12).
In questo modo, avremo anche per noi la stessa gioia che doniamo, e saremo noi protagonisti attivi, non più passivi, della nostra vita.
Riguardo al rispetto umano, il gesuita belga Cornelio a Lapide (1567-1637) scriveva: “Cosa indegna e vile è il rispetto umano, e non ve n’è altra che tanto degradi, abbassi e disonori l’uomo… Colui che ne è schiavo, non merita più il nome di uomo, ma il suo luogo è tra le banderuole che segnano la direzione dei venti; poiché non sa fare altro che questo… Una tale persona è sommamente spregevole… Che cosa è che la trattiene? Un motto, un sarcasmo, una beffa, un segno… Oh! che piccolezza di spirito, che viltà di cuore!
Ne arrossiamo noi medesimi in segreto, e non ci sentiamo l’animo di superare simili bagattelle!… Cerchiamo pure di nascondere e di orpellare con altri nomi questa fiacchezza, questa viltà, ma invano… Noi temiamo le censure del mondo, degli increduli, degli empi, degli ignoranti, degli accidiosi, dei dissoluti…
Noi temiamo di acquistarci nome di spiriti deboli e pregiudicati, se pratichiamo la religione; e non vediamo che somma debolezza è non praticarla. Qual cosa più vergognosa e più degradante, che la vergogna di comparire quello che si deve essere? Siamo canzonati; ma cosa vi è di più frivolo che le beffe? Chi è che si burla di noi? Quale ne è il merito, il credito, la scienza, la virtù? E noi osiamo vantarci coraggiosi, di animo grande, di carattere generoso?”.
Ecco che questo tipo di atteggiamento non è in primis rispettoso di noi stessi, perché ci costringe a portare un pesante macigno di maschere, a costo di apparire migliori, e chi ci relazionerà con noi non vedrà come siamo ma come vogliamo apparire.
Non dobbiamo dimenticarci mai che non si può piacere a tutti, che Dio ci ama così come siamo e che la libertà è forse il dono più grande che ci ha dato, perché ci consente di essere felici. Quindi, senza dimenticarci ciò che ci ha indicato Gesù, abbiamo tutto il diritto di esprimerci per quello che siamo. “Ama”, direbbe Sant’Agostino, “e fa’ ciò che vuoi”.
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