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Medjugorje

Medjugorje, i due Vescovi di Mostar: NO alle indagini sulle apparizioni

L’opposizione dei due Vescovi di Mostar, Zanic e Peric, noti per la loro contrarietà a Medjugorje, alle indagini sulle apparizioni, non è una diceria ma una vera e propria rivelazione per mano di un frate francescano, teologo e stimato professore. 

Si chiama padre Ivan Dugandžić è un esperto di Sacre Scritture, ma cosa assai rilevante, è un membro delle Commissioni istituite dalla diocesi di Mostar. Che dal 1981 al 1986 si sono succedute per fare chiarezza su ciò che stava accadendo a Medjugorje. La notizia è stata riportata dal giornalista David Murgia sul suo blog Il segno di Giona.

Padre Dugandzic ha deciso di raccontare questa scottante verità sui fatti di Medjugorje nel suo libro “Medjugorje con gli occhi dei vescovi locali Žanić e Peric” fondato su documenti disponibili, inediti e rivelatori di “drammatici giochi dietro le quinte”.

Una rivelazione scottante

Per capire quanto sia importante conoscere i documenti contenuti nel suo libro, la cui prefazione è stata curata dal teologo Padre Tomislav Pervan,  è necessario chiarire alcuni punti.La prima: Medjugorje dipende territorialmente dalla diocesi di Mostar.

A guidare questa diocesi nel primo periodo delle apparizioni è stato Mons. Pavao Žanić, deceduto l’11 gennaio 2000, a cui è succeduto Mons. Ratko Peric, ora in pensione e sostituito da settembre 2020 da Mons. Petar Palic, nominato da Papa Francesco.

La Commissione fu in realtà voluta dal card. Ratzinger

Entrambi, questi due primi vescovi, hanno manifestato una netta opposizione al fenomeno di Medjugorje.  Soprattutto mons. Zanic che è stato il vescovo dell’inizio delle apparizioni. E sembrava che proprio lui avesse richiesto le Commissioni diocesane incaricate e presiedute dallo stesso Zanic per studiare il fenomeno. Più una Commissione all’interno della Conferenza Episcopale dell’ex Jugoslavia.

Le due Commissioni diocesane in realtà diedero un parere negativo sulle apparizioni. Mentre la terza si risolse con la famosa Dichiarazione di Zara (1991) che diede un giudizio “attendista“.

Ma secondo padre Dugandžić, invece, “non è vero che il vescovo Žanić ha “ingaggiato” la Conferenza episcopale e la Santa Sede. Ma la creazione di una commissione a livello di Conferenza episcopale gli fu imposta dall’allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il cardinale J. Ratzinger. E fu lo stesso cardinale Ratzinger che istituendo questa commissione respinse come inaccettabili le conclusioni delle Commissioni volute da Žanić”.

Mons. Zanic aveva fretta e voleva un esito negativo

E questo perché, secondo l’autore del volume, “l’istituzione della Commissione da parte di mons. Zanic è stata solo una farsa”, perché Mons. Zanic aveva fretta e non si curava di tutta la verità, ma di imporre la propria verità agli altri”.

Secondo padre Dugandžić Mons. Zanic “presiedendo personalmente le sessioni della commissione e dirigendo i suoi lavori, ha messo in dubbio la sua indipendenza e obiettività nel suo lavoro. Le sessioni della commissione che seguirono lentamente rivelarono sempre di più ciò che il Vescovo voleva veramente ottenere. Aprendo ogni sessione di persona, ha ampiamente influenzato sia l’argomento che il corso delle sue discussioni.

Gravi falle nel corso delle indagini

Invece di indagare sul fenomeno sul posto in incontri diretti con i veggenti, con il personale pastorale impegnato a Medjugorje, o con altri testimoni diretti dell’evento o con i pellegrini che visitavano il luogo, i membri della commissione durante le loro sessioni si sono occupati principalmente delle opinioni di sostenitori e oppositori di Medjugorje”.

La volontà di Giovanni Paolo II era un’altra

Padre Dugandžić porta a galla una verità pesante: “Inoltre, il normale lavoro della commissione – scrive nel suo libro – è stato ostacolato dal crescente nervosismo del Vescovo a causa, a suo avviso, della lentezza del lavoro della commissione e della riluttanza a dichiarare negativamente i fenomeni, anche se il Vaticano e lo stesso Giovanni Paolo II gli avevano ordinato di non affrettarsi con la decisione finale”.

Simona Amabene

 

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