Se una parte consistente dei battezzati di oggi nega o almeno ignora l’esistenza dell’inferno e delle sue pene, moltissimi sono quelli che hanno sul purgatorio le idee più strambe, più eterodosse e meno fondate.
Nel Novecento, l’inferno è stato liquidato dai laicisti come impossibile, inutile e infondo ingiusto, e queste idee, con radici più antiche, sono a poco a poco penetrate negli ambienti cattolici, cambiando la mentalità dei praticanti. Una cosa è sicura: nelle prediche domenicali delle parrocchie italiane – ma non dovrebbe differire molto all’estero – la parola inferno è stata di fatto bandita. Semplicemente non compare più.
Dopo che uno non la sente mai, associandola alla sorte delle anime peggiori, ne perde la cognizione e la rimuove, quasi senza accorgersene, dal proprio orizzonte culturale e spirituale. D’altra parte, le messe dei defunti si sono trasformate in cerimonie di quasi-canonizzazione dello scomparso.
Queste messe sono frequentate in larga parte da persone che abitualmente non rispettano il terzo comandamento e la domenica dormono o fanno altro. Se il sacerdote dice, anche di chi non lo merita affatto, che il nostro fratello Mario Rossi ‘ora abita nella casa del Signore’, è chiaro che passa l’idea che tutti saremo salvati, e non importano le opere buone e le virtù, ma solo la fiducia nella propria (immeritata) salvezza eterna…
Con il purgatorio è accaduto e accade qualcosa di simile, con delle varianti specifiche. All’inferno o si crede oppure no, ma sono relativamente pochi coloro che pensano oggi ad un inferno transitorio, o ad un inferno piacevole, o ad un inferno inventato dalla Chiesa. Anche perché i 4 Vangeli sono chiarissimi sull’esistenza di un luogo e di uno stato di pena per i peccatori non pentiti (Mt 3,7-8; Lc 3,16-17; Gv 15,6).
Sul purgatorio invece, circolano teorie storico-teologiche davvero sconclusionate. La più divertente delle quali è questa diffusissima tesi: il purgatorio l’ha inventato Dante Alighieri!!
Un letterato, un poeta, anzi il Sommo Poeta dell’italianità (1265-1321), del resto cattolico e sempre stimato dalla Chiesa (cf. Benedetto XV, In Praeclara Summorum, 1921), nel XIV secolo avrebbe avuto la sapienza e la capacità, ma anche il potere di inventare dal nulla un nuovo dogma di fede. Papi, vescovi e concili, avrebbero poi seguito il magistero di uno scrittore tardo-medievale.
E’ ardita come tesi storica, ma nondimeno conta ancora oggi moltissimi sostenitori, alcuni dei quali influenzati dalla lettura di testi storici come quello di Jacques Le Goff, La nascita del purgatorio (Einaudi, 1982), secondo cui il dogma del purgatorio si struttura con la seconda cantica dantesca (Il Purgatorio), scritta però certamente dopo il 1304. Ma Tommaso d’Aquino, morto nel 1274, parla ampiamente del purgatorio nelle sue opere, dimostrando l’assurdità di una ricostruzione teologica come quella esposta qui sopra.
Vediamo allora cos’è il purgatorio utilizzando uno dei testi più sicuri tra quelli oggi disponibili: Padre Garrigou-Lagrange, La vita eterna e la profondità dell’anima, Fede & Cultura, 2018. L’autore fu un ottimo teologo francese del Novecento e il direttore di Tesi del giovane Karol Wojtyla all’Angelicum di Roma. E il suo testo è da diffondere a piene mani tra i nostri amici e conoscenti, partendo anzitutto dai catechisti.
“Secondo la dottrina della Chiesa, il Purgatorio è il luogo e lo stato in cui si trovano le anime dei giusti che sono morti con l’obbligo di subire ancora una pena temporanea dovuta ai peccati veniali non ancora rimessi, oppure ai peccati mortali o veniali già rimessi ma non ancora espiati” (p. 174).
Come si capisce subito ogni parola va ben soppesata ed ha un senso preciso e rigoroso. La sorte delle anime purganti è prestabilita dalla misericordia divina: “Queste anime in stato di grazia attendono il loro ingresso in Cielo e restano in Purgatorio fino a che il loro debito con la giustizia divina non sia pienamente soddisfatto. Acquistano il diritto di entrata in Cielo progressivamente, non per merito e soddisfazione [dopo la morte non si può più meritare], bensì per satispassione, vale a dire sopportando volonterosamente la pena soddisfattoria loro inflitta [da Dio]. Nondimeno, una parte di tale pena viene loro rimessa, quella che corrisponde ai suffragi e soprattutto alle Messe applicate loro dai vivi” (ibid.).
Si tratta di un brano di ottima sintesi della dottrina cattolica, la dottrina del buon Maestro Gesù, che già da sé dovrebbe fugare mille storture nella concezione di questa realtà giusta e benefica, come tutte quelle che derivano dall’Intelletto più alto.
Tale insegnamento si ritrova esplicitamente in vari Concili ecumenici, come il secondo Concilio di Lione (tenutosi nel 1274, quindi circa 30 anni prima della redazione del Purgatorio di Dante…), il Concilio di Firenze (1439) e il Concilio di Trento (1545-1563). Faccio notare ai lettori che la Rivelazione pubblica si è conclusa definitivamente con la morte dei santi Apostoli, e tuttavia la Chiesa, attraverso l’analogia della fede e l’approfondimento scientifico-teologico, estrae dal suo Depositum fidei, cose vecchie e cose nuove, come lo si vede con i dogmi più recentemente proclamati: l’Immacolata Concezione (1864) e l’Assunzione di Maria (1950).
La Chiesa cattolica, in questi Concili ed in altre proposizioni di fede, ha condannato le seguenti idee: che l’esistenza del purgatorio non possa provarsi con la Bibbia; che non tutte le anime del purgatorio si salveranno; che le anime purganti possano peccare o meritare in purgatorio.
Padre Garrigou-Lagrange nel suo ampio trattato sul purgatorio (pp. 174-245) si dilunga su molti temi interessanti ma che esulano da una sintesi come la nostra. Invitiamo però i lettori che desiderano avere una fede corazzata e salda – come tutti dovremmo cercare di avere – a studiare il testo e a meditarlo bene. La solidità della fede non è arroganza, cocciutaggine o chiusura al mondo. Ma proprio l’opposto: il vero discernimento si nutre della retta fede, e così fanno la coscienza – sacrario dell’uomo – e il cuore.
Antonio Fiori
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